20 settembre 2018

Sapiens, Breve Storia dell'Umanità di Y.N.Harari - COMMENTO

Non sono un esperto di Storia e mai ho letto un saggio storiografico prima d'ora ma, al di là dei possibili limiti ed errori che i più smaliziati potrebbero riscontrare nel corso della lettura (attenzione: non sto dicendo che ci siano, semplicemente non ne escludo la possibilità da ignorante in materia), questo libro sa stuzzicare non poco l'appetito ripercorrendo il cammino evolutivo dell'umanità dal principio fino ai giorni nostri, con una gustosa visione d'insieme e una privilegiata prospettiva storica derivante dalle varie scoperte e studi degli esperti nel settore che lo rendono un must.

Pubblicato nel 2011 in lingua ebraica prima e nel 2014 in lingua inglese poi, "Sapiens" è diventato un autentico bestseller ricevendo giudizi assai positivi dai molti lettori e alcune critiche dagli esperti. Se ho conosciuto questo libro lo devo a Bill Gates che lo consigliò nel suo blog personale insieme ad altri quattro libri qualche estate fa: mai un consiglio fu cosi prezioso!

Personalmente, trovo davvero geniale la proposta di Yuval Noah Harari. Riuscire a racchiudere in circa cinquecento pagine l'intero percorso storico-evolutivo della specie umana, riuscendo a rapire l'attenzione del lettore, non può non sorprendere per via dell'abilità insita in una simile operazione storica. In pratica, ci ha donato una bibbia storiografica, un libro suggestivo e per nulla pedante che sa sorprendere e illuminare oltre  che rinfrescare la memoria in modo inedito e assai più appassionante rispetto ai freddi testi scolastici. "Sapiens" sa donare persino interessanti punti di vista e delle autentiche riflessioni sul nostro modo di rapportarci alla natura e agli altri esseri viventi che popolano e condividono la Terra con noi riuscendo magari a solleticare la nostra coscienza. A tal proposito, non ho potuto fare a meno di notare come il monoteismo (tra le altre cose) ci abbia lasciato una scomoda e forse sottovalutata eredità che effettivamente ha portato a delle tragiche conseguenze per le altre specie e non solo: l'antropocentrismo

Ciò che ho apprezzato nel corso della lettura è stata la mancanza di una qualsivoglia idealizzazione da parte dell'autore nei confronti del passato e dei nostri antenati o una facile condanna "demonizzante" (come purtroppo va fin troppo di moda fare oggigiorno) nei confronti del presente. Ho anche notato una certa schiettezza e alcune osservazioni che, come detto, possono portare a qualche riflessione filosofica smuovendo qualcosa nei nostri cervelli. Naturalmente, essendo un saggio troveremo affiancate ai fatti anche delle tesi personali dell'autore più o meno condivisibili eppure stimolanti. Forse, almeno secondo me, verso la fine il professor Harari sembra cedere un po' all'allarmismo e al pessimismo nelle sue valutazioni sul nostro futuro, sebbene grazie a ciò porta all'attenzione del lettore quesiti mica da ridere - e questo mi porta a pensare che sia voluto: cosa vogliamo davvero come specie? Saremo in grado di utilizzare con responsabilità il potere ottenuto negli ultimi secoli? Non solo: la storiografia non dovrebbe, tra le altre cose, indagare anche la felicità e di come essa si presenti, aumenti o diminuisca all'interno delle società umane di ogni epoca e di ogni tempo? Ognuno troverà la sua personale risposta a questi quesiti.

Al termine della lettura ho provato una maggiore consapevolezza nell'essere solo una parte del mondo animale e naturale, di far parte di una collettività molto ampia. Oltre a questo, ho avuto una conferma: la filosofia deve assolutamente accompagnare la scienza, entrambe le discipline devono saper dialogare senza pregiudizi di sorta nei confronti dell'altra arrivando all'osmosi e fare parte del bagaglio personale di ognuno di noi.

E' stata una lettura stranamente molto lunga a causa di varie pause personali tra un capitolo e l'altro. E' stata una vera odissea per me riuscire a concludere questo libro e, visto il tema trattato, non lo trovo poi cosi strano. Ma non fraintendetemi: la colpa è solo mia e dei miei impegni, non dell'autore il quale ha al contrario sempre saputo conquistarmi ogni volta che ritornavo sulle pagine del suo libro, catturandomi. 

Mi sento di consigliare "Sapiens" a tutti soprattutto a coloro che hanno fame di conoscenza, seppure non escludo possibili errori nel contenuto divulgativo. Buona lettura!

15 aprile 2018

The Killing Joke di Alan Moore: siamo tutti Joker - COMMENTO

Vorrei buttare giù due parole su un'opera fumettistica assai acclamata e già anticipata nel titolo del presente post: "The Killing Joke", scritto da Alan Moore e illustrato da Brian Bolland.

Come al solito per i nuovi e casuali lettori ci tengo a sottolineare che le mie NON sono recensioni ma mere opinioni personali. L'unico scopo da parte mia è quello di rendere fede alla filosofia del presente blog ben incarnata nel titolo che ho scelto per esso, ovvero fornire senza grandi pretese qualche input sia anche semplicemente incuriosire le persone nei confronti di un'opera (come in questo caso) o donare un punto di vista diverso. Tutto qui.


Evitando troppi giri di parole, "The Killing Joke" è un'opera che consiglierei di leggere a tutti i lettori. Che siate o meno lettori di fumetti, che siate o meno appassionati di "Batman" o del genere supereroistico in generale, che siate o meno esperti della storia dell'uomo-pipistrello questo fumetto lo consiglierei a prescindere - anche perché, almeno secondo me, si presta particolarmente bene ai neofiti. Certo, ciò a patto che ci sia dell'attrattiva perché niente deve essere letto controvoglia o, peggio ancora, per fare contenti gli altri. 

Ci ritroviamo dinnanzi a un fumetto dai colori a tratti psichedelici messi al servizio di una storia a tinte psicotiche che si focalizza sul personaggio del Joker. Naturalmente non manca Batman.

A l'uomo dal riso perenne viene donato un passato, un'origine, si fa luce nell'oscurità misterica che da sempre lo avvolge. E come spesso accade quando si vuole andare a fondo sondando le origini di un essere apparentemente fuori dal comune, la rivelazione non fa altro che smascherare un uomo comune privo di qual si voglia straordinarietà e non diverso da noi e non meno umano di noi, portandoci a una scoperta sconvolgente che rimescola in un certo senso le nostre carte. Tuttavia, se alle volte lo scoperchiare il vaso che custodisce l'ignoto rischia di portare collateralmente all'effetto di spazzare via ogni suggestione, in questo caso la rivelazione aumenta invero il sinistro fascino di tale icona fumettistica riconsegnandocela sotto una nuova luce e in qualche modo tragica. 

Ebbene, al termine della lettura lo sconcerto giunge dalla presa di coscienza che, alla fin fine, Joker sono io, sei tu... siamo tutti noi. 

Joker è la risposta irrazionale a un tragico evento, a una pessima giornata che la vita casualmente ci "regala". Joker è colui che non vuole ricordare, ma affogare il passato nell'oblio cercando una lucidità e un senso nella follia, unico fascio di luce perversa nell'oscuritàMoore ci esplicita, attraverso un viaggio inquietante della psiche, il perché il clown è davvero la nemesi perfetta dell'uomo pipistrello presentandocelo come la seconda faccia di una stessa medaglia, un riflesso sogghignante in uno specchio diabolico. E lo fa con una sottile profondità sfruttando peraltro una regia di stampo cinematografico e di ottima fattura, palesandoci quanto i due eterni antagonisti siano in realtà legati da un filo srotolatosi da un medesimo arcaico gomitolo: una giornata finita male. 

No, Joker non è solo un personaggio fittizio confinato comodamente all'interno di una sequenza di vignette colorate, ma è in mezzo a noi e ci sorride dalle pieghe oscure della nostra vita.

2 febbraio 2018

IT, il Pagliaccio che non spaventa - COMMENTO

Non ho ancora letto il libro e non ho nemmeno visto l'amata mini-serie degli anni '90, quindi "IT" del 2017 diretto da Andres Muschietti è stato il mio primo vero contatto con l'opera celeberrima di Stephen King. Nonostante questo, giusto per non apparire fuori dal mondo agli occhi di chi legge, in linea generale sapevo pressapoco di cosa trattava, cosa in parte aspettarmi e di quanto "IT" fosse amato dai lettori.

A differenza dei detrattori del primo secondo e dei nostalgici a tutti i costi, non ho trovato affatto forzata e fuoriluogo la volontà di realizzare questa trasposizione (a mio parere necessaria e d'obbligo) per due semplici motivi. In primis la trasposizione degli anni '90 era stata creata per la televisione ed è, da quanto si dice, invecchiata assai male e questo, per me, già giustifica e qualifica questo "IT"; in secondis il presente adattamento si tratta della prima vera trasposizione cinematografica della storia del libro di King e non di un remake come qualcuno ha confusamente e, in certi casi, malignamente sostenuto. Dunque, secondo me, non ha molto senso inserire questo film in quella tendenza odierna hollywoodiana di ricorrere a remake, sequel, reboot, prequel di classici e capolavori del passato per sopperire a una cronica mancanza di idee; è un discorso che non ci azzecca proprio nulla in questo caso.
Ma bando alle ciance!



Personalmente questo film non mi è dispiaciuto, al di là del titolo che ho dato a questo post che può fuorviare - ma ha il suo perché, e lo vedremo più avanti. 

In realtà ho sempre avuto un debole - non chiedetemi il perché, non lo so nemmeno io - per le pellicole aventi come protagonisti un gruppo di ragazzini affiatati dove si assiste a nuovi incontri e persino a sottili "love-story", stilemi qui presenti in toto. Pero con questo "IT" si va oltre perché abbiamo a che fare con un gruppo di ragazzini che, loro malgrado, si ritrovano ad affrontare non un'avventura colorata o una simpatica e divertita sfida tra coetanei, bensì un essere o meglio una cosa sovrumana, atavica e "aliena" al genere umano; si ritrovano ad affrontare un orrore malefico, un incubo incarnato sotto-forma di clown d'altri tempi. E questo lo rende un po' diverso dagli altri film di questa tipologia, benché le dinamiche interne del gruppo siano le medesime di altri prodotti simili (basti pensare anche al recente "Stranger Things", fenomeno seriale Netflix) e naturalmente non poteva che essere cosi.

Tratto distintivo di queste pellicole è il racconto di formazione che anche qui è presente con la differenza che cambiano le modalità con cui viene affrontato e portato avanti. Infatti, qui si sfrutta l'horror e il sovrannaturale facendo emergere una tematica non da sottovalutare e nemmeno banale, ossia quella del riuscire a superare e vincere la paura e, nel caso di "IT", la paura di crescere, di diventare adulti. Si, entrare proprio in quel mondo che, nel film, è tutt'altro che un alleato o un dispensatore di saggi consigli anzi, gli adulti qui sono i primi seguaci inconsapevoli del diabolico IT e i primi oppositori dei nostri giovani e coraggiosi protagonisti se non proprio un allungamento del suo braccio/potere. E guarda caso il potere del terribile IT consiste proprio nell'evocare la paura delle sue prede rendendole tangibili, fisiche e, rovesciamento della medaglia, esso può essere sconfitto e annichilito solo una volta che si supera questa paura che da esso trasuda.

Ma cosa deve avere un film del genere per funzionare oltre a quello che abbiamo già segnalato? A parte il racconto di formazione (presente) e certe dinamiche tipiche (presenti), deve possedere dei personaggi e degli attori che sappiano creare simpatia, empatia oltre che un'alchimia particolare verso lo spettatore. E "IT" possiede anche questo fondamentale ingrediente, almeno secondo il sottoscritto. E tra tutti, spiccano due attori (e di riflesso i due personaggi a loro assegnati) che mi hanno maggiormente "colpito": Jaeden Lieberher (Bill) e Sophia Lillis (Beverly), senza nulla togliere agli altri naturalmente.

Uhm, e tu che ci fai qui?    
 
Ciononostante è di un film horror che stiamo parlando e, per forza di cose, deve o dovrebbe sapere generare della tensione, farti sussultare o inquietarti almeno un poco...

Ed eccoci arrivati alla scoperta del titolo del post affatto casuale e che, visto il genere, potremo vedere come il limite e il difetto di "IT", ovvero: nel corso della visione non mi sono mai spaventato, non ho mai provato una grande tensione, nemmeno per una volta. Diciamo che da questo punto di vista emerge il suo lato da film per teenager e, in quanto tale, non riesce purtroppo a scalfire un adulto (o almeno non me), risultando cosi un film per nulla spaventoso e visivamente teen appunto. Certo ci sono dei momenti forti, ma non l'ho trovati troppo disturbanti personalmente parlando. Pertanto ritengo veramente esagerato se non una silente manovra di marketing furbetta per acchiappare spettatori maturi amanti dell'orrore quella di aver vietato la visione del film in America ai minori di 17 anni non accompagnati. Non fraintendetemi, a me ha fatto comodo tutto ciò visto che non amo spaventarmi troppo e avere gli incubi la notte per colpa di un film, ma devo comunque cercare di essere obiettivo e valutare il film all'interno del suo genere, no? E un horror che non spaventa... uhm... credo sia inutile aggiungere altro.


- Oh, ma che bella bocca che hai...
- E' per mangiarti meglio!
 
E il grande villain della storia? L'attesissimo IT? 
 
Come scritto all'inizio, non ho letto il libro quindi non posso pronunciarmi in merito. Posso solo dire che è sicuramente un personaggio pittoresco e abbastanza sadico, nonché grottesco seppure non è riuscito a darmi l'impressione di essere un cattivone con la "C" maiuscola. Onestamente, mi aspettavo un personaggio a suo modo più "badass" e "buca-schermo" in un certo senso. Comunque non male la caratterizzazione estetica su cui ben si adatta il volto "truccato" di Bill Skarsgard, seppure non mi è sembrato che abbia offerto chissà quale interpretazione se non nella media.

Detto quanto sopra, non è un film che ritengo di bassa qualità nemmeno dal punto di vista tecnico, questo lo voglio sottolineare (ovvio che si tratta, come tutto il commento, di un'opinione del tutto personale). La fotografia mi è sembrata azzeccata e di buon livello (non avrebbe guastato una fotografia un po' più sporca e spenta visto il genere, secondo me) cosi come la scenografia soprattutto nella scelta delle location naturali. Gli effetti speciali mi sono parsi credibili e le musiche idonee per la storia trattata, azzeccate quando si doveva accompagnare e rafforzare la comparsa del folle clown sullo schermo. Il film inoltre, dall'alto della mia ignoranza chiariamolo, mi è sembrato ben diretto con alcune inquadrature quasi d'impatto e una messa in scena a volte suggestiva oltre che risultare registicamente pulito e chiaro. A questa pulizia visiva si contrappongono invero dei dialoghi sporchi e sboccati, una scelta che approvo e che immagino sia in linea con il romanzo di partenza. Ciononostante, credo che la sceneggiatura, dal punto di vista narrativo, abbia peccato di superficialità con il personaggio di Henry Bowers (seppure era chiaro avesse un seme di marciume "in seno", su questo gli sceneggiatori hanno centrato il punto). Personalmente parlando, mi sarei soffermato un po' di più su di lui accompagnando "dolcemente" lo spettatore nella sua evoluzione anziché spingerlo brutalmente giù da una scala nella sua totale "caduta" verso il male totale, sviscerando maggiormente il suo rapporto con il padre che invece si riduce a una scena contata e troppo vicina al momento del totale, irreversibile passo nell'oscurità.



Buona la prima dunque, ma non mi è sembrato il filmone che molti hanno descritto. E' una visione senza dubbio piacevole, simpatica e la quale probabilmente si apprezza ulteriormente in compagnia e non disdegna una seconda visione, ma non di più seppure pompata da una mirata e legittima campagna di marketing che ha sortito i suoi effetti: il film è stato un successo al botteghino, diventando l'horror più proficuo della storia del cinema, almeno a oggi. La voglia di leggermi il romanzo è comunque rimasta - segno molto positivo - e la volontà di vedere il sequel pure!

7 gennaio 2018

Omero, Iliade di Alessandro Baricco - COMMENTO

Alessandro Baricco nel 2004 ha concretizzato il suo lodevole sogno: leggere in pubblico, insieme a nomi noti del panorama culturale e dello spettacolo italiano, il Poema Epico per eccellenza, "l'Iliade" di Omero. Ma come riuscire a portate in porto un'impresa del genere senza impiegare giorni e giorni di lettura orale e non impegnare eccessivamente l'uditorio? Riscrivendo, rimontando e reinterpretando un po' l'antico testo per renderlo più leggero, più spedito e adatto al pubblico/lettori di oggi! 



Inutile parlare in questa sede de "l'Iliade" e del suo valore storico e artistico, di quanto contenga in seno tutti quegli elementi che oggi tanto ci emozionano e avviluppano nei film, nelle serie televisive, nei libri e nei fumetti. Parliamo piuttosto dell'operazione di Alessandro Baricco, focalizzandoci sul suo lavoro. 

Questo autore ha realizzato un qualcosa che personalmente trovo tremendamente interessante, suggestivo e quasi geniale, ovvero rendere alla portata di tutti un testo che, nella sua forma originale in versi e con una traduzione troppo arcaica, potrebbe scoraggiare molti. Non tutto comunque è farina del suo sacco e lo stesso Baricco non si fa problemi a sottolinearlo. Difatti, esso si appoggia sulla traduzione in prosa della grande Maria Grazia Ciani e "rimonta" il tutto a suo modo, ma con sensibilità e acume. Tenendo intatta la fabula e integrando la caduta di Ilio al finale, per completezza narrativa (l'Iliade non si conclude, come si potrebbe erroneamente pensare, con la caduta di Troia e il celebre cavallo di legno originato dalla mente astuta di Odisseo), re-intreccia gli eventi facendoli rivivere attraverso i monologhi dei protagonisti che quella decennale guerra l'hanno combattuta e vissuta sulla propria pelle. Oltre a ciò, un po' come lo sceneggiatore David Benioff con il discusso film "Troy" (2004) del regista Wolfgang Petersen, elimina l'elemento divino e trasforma il tutto in un racconto dell'uomo sull'uomo, "laicizzandolo".

Stilisticamente parlando, Baricco adotta un linguaggio moderno e al contempo epico e aulico andando a levigare le varie formule fisse e gli epiteti del poema originale donando una maggiore fluidità e riuscendo in tal modo a rimuovere "tutti gli spigoli arcaici che allontanano dal cuore delle cose". Questo suo lavoro di taglio e cuci lo ha portato a confezionare un libro di circa 163 pagine che possono sembrare fin troppo poche se comparate al materiale di partenza. Eppure, per chi potrebbe riservare dei legittimi dubbi sull'operato di Baricco, nel mio piccolo posso garantire che i temi principali dell'opera (l'Ira, la Morte, la Conciliazione finale) restano intatti e, anzi, forse si palesano agli occhi del lettore con una rinnovata nitidezza e vigore portandolo magari - chissà! - a qualche inedita riflessione. Ad esempio, per portare un aneddoto del tutto personale, ho notato come la Bellezza, per quanto importante nel mondo e nella cultura dei greci, diventi quasi un'impalpabile monito. Basti pensare a Paride, bellissimo d'aspetto ma vile sul campo di battaglia tanto che, ironia della sorte, la sua arma principale è l'arco, ovvero l'arma del pusillanime per antonomasia; oppure pensiamo al maestoso Cavallo di Troia tanto magnifico da far perdere il senno ai troiani, benché oggetto della caduta e della distruzione di Troia. La Bellezza sembra divenire quasi il simbolo della disfatta, un'arma a doppio taglio (Elena è una donna dalla bellezza divina), un tallone d'Achille per chi vi resta abbagliato, una severa condanna.

Quindi questa famosissima tragedia umana rivive con nuova forma e nuova vibrante potenza. Baricco dona vitalità, poesia e modernità incredibile a un poema antichissimo emozionando e commuovendo (bellissimo, a tal proposito, il finale con Odisseo) usufruendo della narrazione in prosa. Mi complimento con lui e la sua intelligente operazione che può far riconciliare molti lettori con questo mitico e straordinario poema che la scuola, purtroppo, ha imparato indirettamente a farci odiare oltre che a farcelo riscoprire sotto una nuova luce con questo suo “Omero, Iliade”.

A quando "l'Odissea"?