25 dicembre 2019

Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas - COMMENTO


Chi non ha mai sentito parlare del famosissimo "Conte di Montecristo"? Di quel personaggio pittoresco che dedicò la propria vita ad un disegno vendicativo giungendo alle vette più alte della società per battere i suoi nemici sul loro stesso campo? Credo che pochi siano coloro che non conoscono questo nome. Infatti, questo famosissimo romanzo ha saputo impregnarsi nell'immaginario collettivo a tal punto da essere riconosciuto come un vero e proprio capolavoro della letteratura divenendo addirittura un nome familiare. Vari sono stati negli anni gli adattamenti cinematografici e seriali - non solo, vi fu anche una serie a fumetti - giunti nel tempo per cercare di replicare per quanto possibile la bellezza della storia scritta dal grandissimo Alexandre Dumas per donarla ad un pubblico sicuramente più variegato, ma confesso che non ho mai avuto dei forti interessi nei confronti di questi adattamenti. Dunque questa è stata una lettura totalmente inedita per me e, mi pare inutile sottolinearlo, assolutamente importante. Importante per il lettore che è in me ovviamente perché ha saputo avvicinarmi ai "Classici" che, a causa di qualche pregiudizio personale, avevo sempre evitato per paura di restarne annoiato credendo erroneamente che fossero libri troppo complicati, pesanti da digerire e da leggere, vetusti nonché superati (sigh!) ed invece mi sono dovuto ricredere e ne sono felice. Dopotutto, quello che colpisce de "Il Conte di Montecristo", al di là degli anni che si porta dietro (oltre 150!), è la sua attualità: sembra quasi un'opera scritta non troppo tempo fa apparendo quasi immortale e per l'appunto senza tempo quindi altro che "superato" o "vetusto"! Comunque, detto tutto questo, adesso vorrei finalmente entrare nel vivo del mio commento senza ulteriori digressioni. 




Questo romanzo è, a mio modestissimo parere, davvero completo negli argomenti esposti e sviluppati. Qui, difatti, si affronta l'essere umano in ogni suo sentimento ed emozione sviscerando la nostra più profonda natura facendoci passare dalla gelosia all'invidia, dalla perfidia all'odio. Ci viene narrata una storia fatta di grandiosa ascesa, di inaudita caduta e di rinascita donandoci una trama anch'essa completa di tutto ciò che garantisce un'autentica epopea abbellita da emozioni crescenti e da colpi di scena elettrizzanti. Inoltre, nonostante la mole, è dotato di un ritmo abbastanza spedito non risultando mai veramente noioso grazie anche al numero non povero di personaggi che incarnano molto bene in alcuni casi le debolezze e le virtù umane (come dimenticare il saggio Faria?).

La sua natura da "romanzo d'appendice" lo porta ad essere un libro molto gustoso, avvincente ed inevitabilmente entusiasmante seppure potrebbe risultare troppo voluminoso per alcuni palati tanto da scoraggiarne la lettura. Tuttavia consiglio, come molti altri hanno sicuramente fatto prima di me, di non lasciarsi intimorire dalla mole perché la lettura vale assolutamente tutte le mille e passa pagine che lo compongono. 
Lo stile di Alexandre Dumas si mostra poetico ed evocativo e le sue descrizioni fanno comprendere perfettamente, a mio dire almeno, le emozioni interiori e gli stati d'animo dei personaggi. Tra tutti non posso non menzionare l'intero periodo in cui Edmond si ritrova suo malgrado e ingiustamente imprigionato nel claustrofobico Castello d'If, un momento nel quale l'autore secondo me raggiunge vette davvero elevate e dove ci fa ben comprendere il dolore interiore del giovane prigioniero, la solitudine e tutti quegli oscuri e giustificati pensieri che portano la mente a certe tragiche risoluzioni. Ma si tratta anche di un periodo di forte formazione cosa che rende il tutto molto affascinante.

In tutto questo, quello che ho trovato davvero riuscito è il dualismo netto che Alexandre Dumas ha saputo imprimere al suo protagonista - se posso definirlo in tal modo. Se all'inizio della storia ci troviamo davanti ad un Edmond pimpante, gagliardo, ingenuo e fresco della sua giovinezza ecco che poi ne ritroviamo un’altro che pare a tutti gli effetti un'altra persona abbandonando cosi non semplicemente l’identità passata, ma proprio il suo essere e la sua personalità lasciando il posto ad un uomo totalmente nuovo, rinato, plasmato, temprato e forgiato nell'odio per i suoi acerrimi e vili nemici. Trovo questo dualismo davvero ottimo per il semplice fatto che si può ben riconoscere la netta distinzione psicologica e morale di Edmond da “l'Edmond ragazzo” a “l'Edmond uomo”. Questa divisione si tocca letteralmente con la mano, a tal punto che sembra di ritrovarsi dinnanzi a due personaggi completamente diversi e non solo di nome ma anche di fatto. Non credo sia cosa facile da realizzare, per tale motivo ho voluto segnalarla. 
Anche il motivo trainante di tutta la storia, ossia la vendetta viene trattata molto bene dall'autore mostrandoci come possa colpire tremendamente i suoi "destinatari" anche dopo lunghi anni di pianificazione, tanto da far valere il famoso detto rendendolo letteralmente vivo "la vendetta è un piatto che va servito freddo". Ma, a parte questo, ci viene fatto capire come vivere solo in nome della vendetta, credendosi quasi la mano "destra" di Dio e un prolungamento della giustizia divina, possa portare un uomo a dimenticasi della felicità e dell'amore divenendo un'ombra ossessionata solo dal suo sanguinoso (seppure legittimo) desiderio. Questo, a mio parere, viene ben comunicato nell'evocativo finale, malinconico e quasi commovente.


Insomma, non mi sarei mai immaginato di leggere nella mia vita un classico e di rimanerne peraltro cosi colpito da volerne leggere altri ancora. Se cercate un libro epico e che sappia appassionare credo che “Il Conte di Montecristo” faccia proprio al caso vostro, tanto più se amate i classici e i romanzi ottocenteschi appartenenti specialmente alla letteratura francese. Ah, una piccola postilla: dovrete necessariamente ritagliarvi un bel po’ di tempo per la lettura di questo librone perché mille pagine non si leggono in un baleno e non sono uno scherzo. Per questo mi sento di consigliare a tutti voi di trovarvi un periodo sgombro da qualsivoglia impegno e di godervi questo libro pienamente come merita.

Adesso non mi resta che augurarvi buona lettura!

18 dicembre 2019

La CGI di oggi è davvero peggiorata?

Nel tempo ho notato come varie persone, tra cui anche critici e cinefili, hanno iniziato a lamentare un presunto calo della CGI applicata ai lungometraggi dal vero rispetto al passato, generando una sorta di meme che super giù recita cosi "La CGI di vent'anni fa era molto meglio". Ma è davvero cosi? 

Con questo articolo vorrei provare a donare il mio minuscolo e non richiesto contributo a questo interessante dibattito cercando di fornire magari una possibile spiegazione personale sul "declino" della CGI e capire se davvero siamo dinnanzi ad un calo o meno. Ovviamente, prima di lanciarmi, voglio sottolineare che non sono affatto un esperto di grafica e di cinema, nemmeno un cinefilo, sono solo un comune spettatore che vuole fornire un'opinione senza pretese di veridicità con l'unica speranza che sia almeno un minimo interessante e possa lasciare in qualche recondito modo un piccolo input a qualche lettore. 




- CGI in declino?

Prima di iniziare, personalmente non sono un detrattore della CGI applicata alle opere cinematografiche e ritengo che questa in molti casi sia necessaria per realizzare cose altrimenti impossibili. Sono abbastanza sicuro che questa contribuisca non solo al completamento e alla realizzazione dell'immaginario di un regista (dunque è parte del processo artistico cinematografico stesso), ma anche ad amplificare la magia della Settima Arte oltre che lo spettacolo. Dopotutto, la CGI è un mezzo e come tale va vista.

Precisata la mia personale e non richiesta opinione sulla CGI, anch'io onestamente negli ultimi anni ho notato della "plasticità" e un effetto da "cartone animato" o videogames nelle scene e sequenze in cui essa veniva applicata in alcuni film anche ad alto se non altissimo budget. Per questo motivo credo che le lamentele varie non siano dovute da qualche capriccio o falsa percezione, bensì dall'osservazione di un fenomeno anomalo concreto e tangibile. Infatti, c'è un'effettiva percezione che qualcosa non vada come dovrebbe andare (vista l'oggettiva evoluzione dei computer e della grafica negli ultimi anni) e credo che tale percezione sia fondata, nel senso: c'è davvero, secondo me, qualcosa che non va e una minore naturalezza rispetto a pellicole più vecchie che facevano uso della CGI. Ciononostante, il problema alla base di questa percezione per me non è dovuto, come invece si sostiene implicitamente, da una peggiore qualità dei modelli 3D e della renderizzazione, ma dal come e quanto il mezzo CGI viene utilizzato e anche da un altro fattore, di cui parlerò dopo, a mio parere fondamentale. Ma andiamo con calma.

- Riscoprire l'ibridazione e...





"La CGI è un mezzo" ho scritto poc'anzi. Ebbene, uno dei problemi dell'ultimo decennio circa secondo me è stato il rendere la CGI un fine e non più un supporto della trama e della sceneggiatura. O se vogliamo si è voluto fare troppo affidamento su quest'ultima dimenticandosi di altre interessanti tecniche forse anche per abbattere i costi di produzione. Questo inevitabilmente ha portato, a mio parere, a un abuso della suddetta tecnica aumentandone a dismisura l'utilizzo in termini di minutaggio all'interno delle varie pellicole. La conseguenza è ovvia: il carico di lavoro sulle spalle dello staff tecnico è probabilmente aumentato seppure il tempo a disposizione sarà ipoteticamente rimasto grossomodo lo stesso del passato. Infatti, credo che uno dei problemi della CGI odierna, e di conseguenza della sua apparente inferiorità rispetto al passato, sia rappresentato proprio dalle strette tempistiche rispetto all'abnorme materiale da realizzare e come sappiamo una maggiore quantità tende a ridurre spesso la qualità finale ai danni, in tal caso, del "realismo" percepito. 

Secondo me il grande errore commesso è stato quello di dare alla CGI il ruolo unico nella realizzazione degli effetti speciali di un film, dimenticandosi degli effetti artigianali e/o pratici rappresentati dall'animatronic, dalla scultura, dal make-up,  dalla stop motion, dalle miniature e "giganture" etc. ricorrendo sempre e soltanto all'immagine digitale ricreata da zero e al green-screen. 

Ora, fermiamoci un attimo e riflettiamo assieme seguendo un mio personalissimo ragionamento. 

Se i film del passato ci apparivano ben più realistici dal punto di vista degli effetti speciali rispetto al presente (e ci sembrano talaltro invecchiati dignitosamente) è proprio perché sapevano sapientemente unire i punti di forza di una tecnica con le altre, sapevano appunto "ibridare" la CGI con l'animatronic ad esempio. A tal proposito vorrei nominare "Jurassic Park" (1993) diretto da Steven Spielberg. In questo iconico film di fantascienza sui dinosauri si è giocato molto con i fantastici animatronics del compianto Stan Winston e la CGI della Industrial Light & Magic sapendole ben bilanciare e sfruttando le potenzialità di entrambe queste arti senza abusarne. Non solo, per tornare al discorso del minutaggio fatto sopra, le scene con i dinosauri digitali in questo famoso blockbuster degli anni '90 contano solo di sei minuti(!!!) su centoventi di durata complessiva. Oltre a questo, la maggior parte di esse erano saggiamente realizzate in scene notturne il che nascondeva i normali limiti della CGI del tempo e i possibili difetti. Altro titolo celebre che vorrei chiamare in causa è la pluripremiata trilogia de "Il Signore degli Anelli" (2001-2003) di Peter Jackson. Anche qui, il regista neozelandese ha saputo sapientemente unire l'arte digitale con l'artigianato ricorrendo a riprese naturali in location reali e fisiche (la Nuova Zelanda e i vari set ricostruiti in studio a grandezza naturale da zero) donando un'esperienza vivida e realistica allo spettatore, di profonda tangibilità. Naturalmente ci sarebbero altri esempi da portare, ma eviterò di allungare il brodo più del dovuto anche per limiti culturali personali. 




Insomma, probabilmente anche a causa dei limiti che c'erano in passato si tendeva maggiormente a fare di necessità virtù mentre oggi con i computer assai più preformanti si sta forse confidando troppo in questa crescente potenza di calcolo dimenticandosi di altre efficaci tecniche che il passato ci ha lasciato in eredità.

Tutto qui allora? Per me no.


Il lettore attento ricorderà bene che avevo accennato a un certo elemento fondamentale mancante eppure sottovalutato o non visto da chi tende a criticare la CGI odierna. E' finalmente giunto il momento di aprire il tendone e rivelare questo oscuro ingrediente che, a mio parere, ha un certo peso in questa percepita finzione e innaturalità delle immagini generate al computer oggigiorno. Si tratta di un qualcosa che nel cinema in generale ha un'importanza massima, ovvero la luce. 


Si, la luce... questa sconosciuta!

Ho scoperto questo aspetto grazie a un'intervista a un direttore della fotografia davvero molto illuminante (scusate il possibile gioco di parole), nella quale l'esperto parlava proprio dell'importanza dell'utilizzo della luce per il realismo delle immagini digitali e la loro riuscita agli occhi dello spettatore. E leggendo l'opinione di un dipendente di un'azienda specializzata in CGI, totalmente per caso, ho in qualche modo avuto la conferma che la luce (insieme al colore) è la causa o comunque una delle cause di questa nostra percezione negativa nei confronti della CGI dell'ultimo decennio circa.

Questo potrebbe in parte spiegarci che quello che forse manca oggi sono figure in grado di saper simulare al meglio la fisica della luce o se non le figure manca il tempo, forse fin troppo stretto. Se ci pensate un attimo, quello che non convince della CGI odierna è proprio la volontà di volerci mostrare tutto nascondendo poco e illuminando fin troppo troppo le creazioni digitali in maniera poco naturale, lontana dal nostro percepire il mondo e il nostro occhio forse percepisce questa "fallace" illuminazione in contrasto con la vita di tutti i giorni. 

- Tirando le somme (personali)

Il problema dunque, almeno stando alla mia personale e non perfetta analisi, non è tanto la qualità in se della CGI quanto il suo esasperato utilizzo e la mancanza di un'ibridazione con altre tecniche artigianali che la rendono plastica e palese ai nostri occhi. Tuttavia, come abbiamo visto sopra, anche un utilizzo non corretto della luce e dei colori potrebbe portare a questo fastidioso effetto che molti lamentano e notano in alcuni film di successo. Fortunatamente buoni esempi di un corretto utilizzo di questa tecnica ci sono anche oggi e registi attenti a tecniche artigianali e non schiavi della sola CGI anche (penso a Christopher Nolan). Si spera che col tempo si ritorni a una sana ibridazione artistica (in questo senso sembra che alcuni film stiano tornando a imitare il passato) e a un corretto utilizzo della luce cosi da ridonarci pellicole con un forte realismo digitale.

Con questo personale post ho voluto solo puntare i riflettori sui possibili motivi che possono esserci dietro a quei film che ci appaiono non proprio superiori in termini di resa e realismo rispetto al passato. L'argomento è molto complesso e sicuramente ho finito per semplificare il tutto a causa di una mia non conoscenza della materia, quindi invito chi ne sa e se vuole ad approfondire (o a smentire, chiaramente) quanto qui scritto con un commento e a chi ne sa quanto me a fare una ricerca personale perché quello che qui ho voluto donare è solo un input e un punto di vista tra i tanti senza pretesa alcuna, nient'altro.

5 ottobre 2019

Gli ebook non sono il male!

Gli ebook reader hanno spalancato le porte alla cosiddetta lettura digitale e hanno permesso di racchiudere intere e monumentali biblioteche all'interno di un dispositivo spesso poco più di una matita e leggero come una piuma (o quasi). Oggi, per mezzo di questi dispositivi, una persona può davvero leggere con immensa comodità un tomo di oltre mille pagine senza spaccarsi le dita e può viaggiare ovunque nel mondo (magari perfino sulla Luna) portandosi dietro l'intera biblioteca personale senza alcun ingombro materiale. In pratica, i libri possono davvero essere sempre con noi, in ogni luogo. Potremmo dire che il libro si è spogliato della sua materialità per diventare "qualcos'altro".

Purtroppo la tecnologia non aveva previsto o considerato che anche il mondo della lettura è pieno di conservatori tradizionalisti che vedono ogni tentativo di innovazione come un attentato alla propria identità se non una malefica e diabolica impostura da respingere e schiacciare: gli immancabili detrattori. Presi da un fuoco di indignazione immotivato, costoro si appellano a visioni poetiche per difendere un modo di leggere secondo loro aureo e molto più nobilitante dalla fredda e disgustosa lettura digitale. Insomma, difendono un'idea di lettura (dopotutto il mondo dell'Homo sapiens è stato edificato e si sostiene sulle idee) dimenticando quello che invece dovrebbe stargli più a cuore, ovvero le opere e il contenuto delle stesse. E invece no: evidentemente per loro è molto più importante la forma, l'estetica e l'idea invece di quello che il libro si porta dentro, ovvero il messaggio e il contenuto, la sostanza se vogliamo. Dunque, evviva il fumo e al diavolo l'arrosto!

La cosa buffa è che cosi facendo queste persone cascano nell'ovvio e si rendono forse addirittura ridicole agli occhi di alcuni altri lettori (fortunatamente non tutti conservatori e "fondamentalisti" come loro). Infatti, tutto questo astio assomiglia solo a una vuota lagna, un capriccio, perché nessuno ha mai messo in discussione quello che loro vanno a difendere in modo quasi dogmatico e religioso. Non c'e' stato nessun attacco al libro di carta e nessuna dichiarazione pericolosa ai danni di questi ultimi!

Beh, svelo un segreto su questi ebook reader e gli ebook in generale ai detrattori incalliti. Gli ebook non sono nati per sostituirsi alla carta stampata e chi li utilizza non li ha sostituiti al libro tradizionale con le pagine profumate di polvere. No. In verità gli ebook sono semplicemente un mezzo aggiuntivo a quello tradizionale per semplificare la vita di alcuni lettori andando incontro a determinate esigenze personali. Tutto qui. 

Si, esatto: tutto qui.

Esorto a chiederlo a tutti i lettori di ebook. Vedrete che diranno le medesime cose e aggiungeranno con grande obiettività che un libro di carta rimane comunque un'altra cosa, su un'altro livello. Quindi che film hanno visto i detrattori? Non lo so a dire il vero, ma questo atteggiamento fa emergere quanto coloro che credono fermamente di essere grandi lettori e difensori dei libri lo siano in realtà in un modo meno profondo di quanto credono. Dico questo per un motivo che ho già esposto brevemente sopra, ma che mi preme ripetere ed estendere perché alla fine è il vero senso di questo post polemico e lo farò partendo da una visione personale dell'attività "lettura".

Quello che dovrebbe davvero contare sopra ogni altra cosa per un lettore innamorato dei libri, a parte tutte queste chiacchiere e conflitti da becera tifoseria, è LEGGERE. Il mezzo attraverso il quale si effettua questa antica e fruttuosa attività non dovrebbe contare nulla e, si, il "libro fisico" secondo me non è altro che un mezzo, un involucro contenente il "frutto" di un altro essere umano, proprio come lo è un ebook. Con quest'ultimo cambia semplicemente il modo di approcciare alla lettura e il mezzo appunto, ma sempre di lettura si tratta o sbaglio? Non conta, o non dovrebbe per me contare come l'opera letteraria si presenta e quale forma sceglie per apparire innanzi ai nostri occhi o quale forma noi gli conferiamo scegliendo quello o questo involucro, conta quello che dice e il suo contenuto. Un lettore con la "l" maiuscola dovrebbe avere a cuore questo a mio parere e non le modalità e i mezzi con cui si legge. E se gli ebook permettono di leggere con più facilità e ad aumentare i lettori allora ben vengano: questo dovrebbe essere il traguardo più importante per un lettore interessato e innamorato alla lettura. E invece questo modo di agire contro gli ebook da parte di certi detrattori dimostra che a quanto pare non sono queste le cose importanti per loro e io dissento totalmente e respingo la loro idea prosaica e materialista che hanno del libro e della lettura. 

Infine, vi confesso una cosa (forse due) prima di chiudere del tutto. In passato facevo davvero pena come lettore, ma grazie agli ebook sono diventato un lettore migliore e ho aumentato a dismisura la quantità di testi letti. Aggiungo poi che non disdegno i libri tradizionali di carta e anzi continuo a comprarli, seppure devo dire che trovo più semplice e immediato leggere su un ebook reader che su un classico libro ormai. E non è questa la cosa più importante di tutte alla fine? Leggere... soltanto leggere. Chissenefrega del mezzo!

16 agosto 2019

Dragon Ball: gli invisibili pregi di un manga di successo

Dragon Ball” di Akira Toriyama non ha bisogno di nessuna presentazione. Più o meno tutti conoscono l'opera magna di questo famoso mangaka nata nel lontano 1984 conquistando un successo praticamente planetario. Eppure tale successo è in un certo verso "bilanciato" da una valanga di critiche negative da parte di una fetta di appassionati di manga e anime che fin troppo spesso sembrano peccare di parzialità e di becera "tifoseria". E personalmente vedo più caricature e deformazioni nei confronti di quest'opera che vere critiche portate avanti con cognizione di causa e onestà intellettuale. 
 
Per questi motivi ho decido di provare a valorizzare e a riscattare "Dragon Ball" da questa ingrata e gratuita macchina del fango per mostrarne qualche pregio inosservato persosi in questa smania incessante di demolizione, in questo soffocante miasma. Da questo personale tentativo è venuta fuori un'analisi particolare e del tutto soggettiva sull'opera più celebre di Toriyama e che qui vado a trattare.


Naturalmente, sia chiaro, in questa mia personale analisi prenderò in considerazione soltanto il manga e non le varie serie animate le quali, per ovvie ragioni di adattamento e di trasposizione, hanno perso gran parte di quelle pregevoli caratteristiche che andrò ad analizzare più sotto. Un discorso a parte meriterebbe “Dragon Ball Kai” che al contrario risulta perfettamente in linea con il manga originale e la serie "Dragon Ball Super" che, invero, recupera alcuni tratti positivi del fumetto, ma non è il caso di parlare di queste due serie qui. 
 
Ho precisato quanto sopra per evitare commenti polemici e magari sarcastici da parte di chi ha visionato solo ed esclusivamente le serie animate senza toccare il manga. Anzi, invito queste persone a rivederle con calma senza idee preconcette anziché aggrapparsi a un ricordo ormai sbiadito e, nel caso, a leggersi anche il manga evitando cosi di dar cieca fiducia ai fallaci tormentoni del web sui presunti difetti dell’opera di Toriyama tanto diffusi, condivisi e perpetrati anche dai fan del Mondo del Drago come fossero il Vangelo. Bene, dopo questa pappardella posso passare all'argomento principale del post: quali sono questi pregi di "Dragon Ball"?

Dopo una breve riflessione personale e ripensando alle parole degli estimatori di quest’opera, sono arrivato alla conclusione che “Dragon Ball” (ricordo, il manga) ha un punto di forza non indifferente derivante dalla capacità del maestro Toriyama di oscillare tra la rapidità e la semplicità. Cosa voglio dire con questo? E, inoltre, sono davvero cosi importanti tali elementi, questi valori? A mio modesto parere si, ancor più se si pensa alla “nona arte” dove il saper tenere il lettore incollato alle tavole e rendendogli la lettura il meno pesante possibile ha un’importanza che oserei definire capitale. Ma andiamo con calma.


Nel dattiloscritto “Sei passeggiate nei boschi narrativi” di Umberto Eco (potete trovare qui un mio commento al testo) si legge che "la rapidità è una virtù narrativa". Qualche anno prima Italo Calvino la inserì guarda caso tra i valori letterari da conservare nel prossimo millennio (era il 1985). Sembra proprio che Toriyama non la pensi diversamente, o almeno secondo la mia personale visione. 
 
“Dragon Ball” è un fumetto che fa della rapidità una sorta di apologia. Leggendolo salta subito all'occhio come certi espedienti narrativi, spesso onnipresenti in altri manga famosi, siano stati in qualche modo omessi. E a mio parere questa omissione non è un difetto bensì una scelta narrativa ben precisa dell'autore se non una sua personale caratteristica (magari messa in atto inconsciamente) volta a rendere la narrazione la più rapida possibile riuscendo a focalizzare l’attenzione del lettore sugli eventi correnti senza alcun tipo di distrazione. 
Ad esempio, alcuni mangaka usano molti flash-back nelle loro storie facendone addirittura un tratto distintivo mentre Toriyama non ha mai puntato su di essi. Questo permette a “Dragon Ball” di viaggiare a una velocità costante senza mai subire rallentamenti di sorta e sfoggiando un ritmo narrativo invidiabile e imbattibile. Infatti, il saltare avanti e indietro alterando l’intreccio, rendendo di fatto la narrazione non-lineare, porta all'inevitabile rallentamento del ritmo rischiando di appesantire la lettura se non, in casi estremi, di far perdere il filo del discorso al lettore e tutto questo viene sapientemente evitato  da Toriyama. E se da una parte la mancanza dei flash-back può apparire un limite perché, cosi facendo, si rischia di affievolire l’aspetto emozionale di alcune scene e di non riuscire ad approfondire al meglio un dato personaggio dall'altra non può far altro che rafforzare l’abilità del mangaka il quale deve caratterizzare al meglio i personaggi e rendere emotive le varie scene senza artefici narrativi di alcun genere, affidandosi esclusivamente al disegno e all'impostazione registica delle tavole, contando esclusivamente su se stesso. Naturalmente ciò che rende tanto rapido "Dragon Ball" è anche l’utilizzo di alcune ellissi e sommari oltre a limitare al massimo le pause narrative. In pratica il maestro dà molta importanza alla narrazione dei fatti, al "presente", che non alla sospensione e alla digressione: ciò rende il ritmo narrativo molto veloce. In pratica è una caratteristica peculiare di questo mangaka che probabilmente ha avuto qualche merito nel successo planetario di questo fumetto ormai famosissimo. A tal proposito, per portare qualche altro esempio concreto basti pensare al contenuto dei singoli volumi e alle varie saghe. Per quanto mi riguarda, non vi è alcun tempo morto: tutto procede speditamente e l’azione è quasi onnipresente, inoltre tra la fine di una saga e l’inizio di un’altra non ci sono mai capitoli meramente riempitivi o atti ad allungare il brodo, ma si va subito al sodo senza troppi giri di parole e... di disegni. E quando ci sono spiegazioni da fornire Toriyama le condensa in poche vignette non perdendosi in spiegoni interminabili evitando in tal modo un fisiologico calo di tensione e magari anche la noia nel lettore. Infine, quando si devono menare le mani lo si fa evitando qualsivoglia interruzione; insomma si combatte e basta!

Alla sopra discussa rapidità Toriyama ha affiancato la semplicità
 
Qui dobbiamo subito dileguare qualche dubbio e pregiudizio. "Semplicità" non è sinonimo di banalità e non la intendo di certo nell'accezione negativa della parola. “Dragon Ball” è semplice nel senso più positivo possibile del termine, ovvero che non è complesso e risulta immediato, di facile lettura. Eppure non dobbiamo essere tratti in inganno da questo suo valore poiché come direbbe uno chef esperto le ricette semplici sono spesso le più difficili da preparare e le più insidiose. 
In verità, ad essere precisi, questa semplicità è in parte frutto della già ampiamente discussa rapidità se non di una sua diretta conseguenza. Dopotutto una struttura narrativa lineare e priva di troppi artefici narrativi tende di fatto e in modo del tutto naturale a semplificare non poco la lettura al lettore rendendola più fluida, ma c’e’ una semplicità che deriva anche da altri aspetti secondo me. Questo manga vanta difatti una semplicità anche dal punto di vista tematico e della trama in senso generale.

Il realizzare saghe cicliche, puntare su una trama per nulla cervellotica ed evitare al contempo temi forti e “pipponi” filosofici è sintomo di una voluta e sentita semplicità e genuinità che rende questo fumetto non diverso dal protagonista che ravviva le sue pagine, Son Goku. Questa semplicità si rispecchia persino nei disegni che, tuttavia, sono tutt'altro che ingenui o banali e nascondono una tecnica e uno stile invidiabili, unici e geniali. Ciononostante, sotto-sotto, delle tematiche sono comunque presenti nell'opera di Toriyama solo che, invece di essere esplicitate attraverso i dialoghi dei personaggi ed essere urlate ai quattro venti a ogni balloon, sono implicite nelle azioni degli stessi cosa che a mio modesto parere è anche più efficace se si considera che nella vita ciò che più conta e qualifica le persone sono le azioni e non tanto le parole. In pratica, l'azione diventa un canale per trasmettere le varie tematiche rafforzando il detto anglosassone relativo allo storytelling, "Show, don't tell!".

Tutto quello che ho scritto sopra, dal mio opinabile punto di vista, rende “Dragon Ball” un manga semplice, diretto, senza troppi fronzoli narrativi, leggero, per nulla pesante e spedito come un treno in corsa senza freni. Questo per me è ciò che lo caratterizza, il suo punto di forza maggiore che non sempre gli viene riconosciuto anzi, viene visto a torto come un difetto. 
 
“Dragon Ball” non vuole essere un fumetto complesso, ramificato, contorto e profondo, ma un’opera non impegnativa per il proprio lettore e, a mio parere, ci vuole anche questo nella vita: leggerezza spensieratezza. Per riflettere e commuoversi a ogni pagina, per deprimersi ed interrogarsi sul senso della vita ci sono altri titoli. Secondo me prima di avvicinarsi a “Dragon Ball” si deve ben capire questo per goderselo pienamente ed evitare al contempo opinioni preconcette e inutili paragoni a tutti i costi con altri famosi manga. In fin dei conti ogni opera è a se ed è figlia del suo tempo e del suo autore il quale è unico e inimitabile e va apprezzato (se meritevole e in tal caso il merito esiste per me) per il suo modo di raccontare, per il suo personalissimo stile. Dovremmo poi ricordarci che ogni autore, anche a livello inconscio, ha sempre in mente un certo tipo di lettore al quale direttamente o indirettamente si rivolge e per riuscire a beneficiare a meglio della sua creazione dovremmo impegnarci ad essere tutti dei cosiddetti lettori modello. E "Dragon Ball" ha proprio bisogno di lettori modello a mio dire!

Guai se un testo dicesse tutto quello che il suo destinatario dovrebbe capire: non finirebbe più. {…} Uno scrittore, per dire troppo, a volte diventa più comico dei suoi personaggi” scriveva Umberto Eco. Personalmente, credo che Toriyama sia riuscito a tenersi ben lontano da un simile rischio, non trovate anche voi? 

Spero la lettura sia stata di vostro gradimento e vi ringrazio per avermi dedicato il vostro tempo. 

P.S. Questo post è dedicato a tutti gli amici che mi sono stati vicini e mi hanno consigliato dopo che il blog originale in cui i vari post a tema "anime e manga" (come il qui presente) è stato chiuso con la conseguente perdita di materiale. Inoltre è dedicato a chi vive con vera passione l'amore per "Dragon Ball", a chi ha sempre saputo essere un lettore (o spettatore nel caso delle serie animate) modello e a chi scrive quotidianamente articoli a tema "Dragon Ball" con cura e rispetto dei lettori (il Team Saiyajin in testa a tutti).