25 dicembre 2019

Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas - COMMENTO


Chi non ha mai sentito parlare del famosissimo "Conte di Montecristo"? Di quel personaggio pittoresco che dedicò la propria vita ad un disegno vendicativo giungendo alle vette più alte della società per battere i suoi nemici sul loro stesso campo? Credo che pochi siano coloro che non conoscono questo nome. Infatti, questo famosissimo romanzo ha saputo impregnarsi nell'immaginario collettivo a tal punto da essere riconosciuto come un vero e proprio capolavoro della letteratura divenendo addirittura un nome familiare. Vari sono stati negli anni gli adattamenti cinematografici e seriali - non solo, vi fu anche una serie a fumetti - giunti nel tempo per cercare di replicare per quanto possibile la bellezza della storia scritta dal grandissimo Alexandre Dumas per donarla ad un pubblico sicuramente più variegato, ma confesso che non ho mai avuto dei forti interessi nei confronti di questi adattamenti. Dunque questa è stata una lettura totalmente inedita per me e, mi pare inutile sottolinearlo, assolutamente importante. Importante per il lettore che è in me ovviamente perché ha saputo avvicinarmi ai "Classici" che, a causa di qualche pregiudizio personale, avevo sempre evitato per paura di restarne annoiato credendo erroneamente che fossero libri troppo complicati, pesanti da digerire e da leggere, vetusti nonché superati (sigh!) ed invece mi sono dovuto ricredere e ne sono felice. Dopotutto, quello che colpisce de "Il Conte di Montecristo", al di là degli anni che si porta dietro (oltre 150!), è la sua attualità: sembra quasi un'opera scritta non troppo tempo fa apparendo quasi immortale e per l'appunto senza tempo quindi altro che "superato" o "vetusto"! Comunque, detto tutto questo, adesso vorrei finalmente entrare nel vivo del mio commento senza ulteriori digressioni. 




Questo romanzo è, a mio modestissimo parere, davvero completo negli argomenti esposti e sviluppati. Qui, difatti, si affronta l'essere umano in ogni suo sentimento ed emozione sviscerando la nostra più profonda natura facendoci passare dalla gelosia all'invidia, dalla perfidia all'odio. Ci viene narrata una storia fatta di grandiosa ascesa, di inaudita caduta e di rinascita donandoci una trama anch'essa completa di tutto ciò che garantisce un'autentica epopea abbellita da emozioni crescenti e da colpi di scena elettrizzanti. Inoltre, nonostante la mole, è dotato di un ritmo abbastanza spedito non risultando mai veramente noioso grazie anche al numero non povero di personaggi che incarnano molto bene in alcuni casi le debolezze e le virtù umane (come dimenticare il saggio Faria?).

La sua natura da "romanzo d'appendice" lo porta ad essere un libro molto gustoso, avvincente ed inevitabilmente entusiasmante seppure potrebbe risultare troppo voluminoso per alcuni palati tanto da scoraggiarne la lettura. Tuttavia consiglio, come molti altri hanno sicuramente fatto prima di me, di non lasciarsi intimorire dalla mole perché la lettura vale assolutamente tutte le mille e passa pagine che lo compongono. 
Lo stile di Alexandre Dumas si mostra poetico ed evocativo e le sue descrizioni fanno comprendere perfettamente, a mio dire almeno, le emozioni interiori e gli stati d'animo dei personaggi. Tra tutti non posso non menzionare l'intero periodo in cui Edmond si ritrova suo malgrado e ingiustamente imprigionato nel claustrofobico Castello d'If, un momento nel quale l'autore secondo me raggiunge vette davvero elevate e dove ci fa ben comprendere il dolore interiore del giovane prigioniero, la solitudine e tutti quegli oscuri e giustificati pensieri che portano la mente a certe tragiche risoluzioni. Ma si tratta anche di un periodo di forte formazione cosa che rende il tutto molto affascinante.

In tutto questo, quello che ho trovato davvero riuscito è il dualismo netto che Alexandre Dumas ha saputo imprimere al suo protagonista - se posso definirlo in tal modo. Se all'inizio della storia ci troviamo davanti ad un Edmond pimpante, gagliardo, ingenuo e fresco della sua giovinezza ecco che poi ne ritroviamo un’altro che pare a tutti gli effetti un'altra persona abbandonando cosi non semplicemente l’identità passata, ma proprio il suo essere e la sua personalità lasciando il posto ad un uomo totalmente nuovo, rinato, plasmato, temprato e forgiato nell'odio per i suoi acerrimi e vili nemici. Trovo questo dualismo davvero ottimo per il semplice fatto che si può ben riconoscere la netta distinzione psicologica e morale di Edmond da “l'Edmond ragazzo” a “l'Edmond uomo”. Questa divisione si tocca letteralmente con la mano, a tal punto che sembra di ritrovarsi dinnanzi a due personaggi completamente diversi e non solo di nome ma anche di fatto. Non credo sia cosa facile da realizzare, per tale motivo ho voluto segnalarla. 
Anche il motivo trainante di tutta la storia, ossia la vendetta viene trattata molto bene dall'autore mostrandoci come possa colpire tremendamente i suoi "destinatari" anche dopo lunghi anni di pianificazione, tanto da far valere il famoso detto rendendolo letteralmente vivo "la vendetta è un piatto che va servito freddo". Ma, a parte questo, ci viene fatto capire come vivere solo in nome della vendetta, credendosi quasi la mano "destra" di Dio e un prolungamento della giustizia divina, possa portare un uomo a dimenticasi della felicità e dell'amore divenendo un'ombra ossessionata solo dal suo sanguinoso (seppure legittimo) desiderio. Questo, a mio parere, viene ben comunicato nell'evocativo finale, malinconico e quasi commovente.


Insomma, non mi sarei mai immaginato di leggere nella mia vita un classico e di rimanerne peraltro cosi colpito da volerne leggere altri ancora. Se cercate un libro epico e che sappia appassionare credo che “Il Conte di Montecristo” faccia proprio al caso vostro, tanto più se amate i classici e i romanzi ottocenteschi appartenenti specialmente alla letteratura francese. Ah, una piccola postilla: dovrete necessariamente ritagliarvi un bel po’ di tempo per la lettura di questo librone perché mille pagine non si leggono in un baleno e non sono uno scherzo. Per questo mi sento di consigliare a tutti voi di trovarvi un periodo sgombro da qualsivoglia impegno e di godervi questo libro pienamente come merita.

Adesso non mi resta che augurarvi buona lettura!

18 dicembre 2019

La CGI di oggi è davvero peggiorata?

Nel tempo ho notato come varie persone, tra cui anche critici e cinefili, hanno iniziato a lamentare un presunto calo della CGI applicata ai lungometraggi dal vero rispetto al passato, generando una sorta di meme che super giù recita cosi "La CGI di vent'anni fa era molto meglio". Ma è davvero cosi? 

Con questo articolo vorrei provare a donare il mio minuscolo e non richiesto contributo a questo interessante dibattito cercando di fornire magari una possibile spiegazione personale sul "declino" della CGI e capire se davvero siamo dinnanzi ad un calo o meno. Ovviamente, prima di lanciarmi, voglio sottolineare che non sono affatto un esperto di grafica e di cinema, nemmeno un cinefilo, sono solo un comune spettatore che vuole fornire un'opinione senza pretese di veridicità con l'unica speranza che sia almeno un minimo interessante e possa lasciare in qualche recondito modo un piccolo input a qualche lettore. 




- CGI in declino?

Prima di iniziare, personalmente non sono un detrattore della CGI applicata alle opere cinematografiche e ritengo che questa in molti casi sia necessaria per realizzare cose altrimenti impossibili. Sono abbastanza sicuro che questa contribuisca non solo al completamento e alla realizzazione dell'immaginario di un regista (dunque è parte del processo artistico cinematografico stesso), ma anche ad amplificare la magia della Settima Arte oltre che lo spettacolo. Dopotutto, la CGI è un mezzo e come tale va vista.

Precisata la mia personale e non richiesta opinione sulla CGI, anch'io onestamente negli ultimi anni ho notato della "plasticità" e un effetto da "cartone animato" o videogames nelle scene e sequenze in cui essa veniva applicata in alcuni film anche ad alto se non altissimo budget. Per questo motivo credo che le lamentele varie non siano dovute da qualche capriccio o falsa percezione, bensì dall'osservazione di un fenomeno anomalo concreto e tangibile. Infatti, c'è un'effettiva percezione che qualcosa non vada come dovrebbe andare (vista l'oggettiva evoluzione dei computer e della grafica negli ultimi anni) e credo che tale percezione sia fondata, nel senso: c'è davvero, secondo me, qualcosa che non va e una minore naturalezza rispetto a pellicole più vecchie che facevano uso della CGI. Ciononostante, il problema alla base di questa percezione per me non è dovuto, come invece si sostiene implicitamente, da una peggiore qualità dei modelli 3D e della renderizzazione, ma dal come e quanto il mezzo CGI viene utilizzato e anche da un altro fattore, di cui parlerò dopo, a mio parere fondamentale. Ma andiamo con calma.

- Riscoprire l'ibridazione e...





"La CGI è un mezzo" ho scritto poc'anzi. Ebbene, uno dei problemi dell'ultimo decennio circa secondo me è stato il rendere la CGI un fine e non più un supporto della trama e della sceneggiatura. O se vogliamo si è voluto fare troppo affidamento su quest'ultima dimenticandosi di altre interessanti tecniche forse anche per abbattere i costi di produzione. Questo inevitabilmente ha portato, a mio parere, a un abuso della suddetta tecnica aumentandone a dismisura l'utilizzo in termini di minutaggio all'interno delle varie pellicole. La conseguenza è ovvia: il carico di lavoro sulle spalle dello staff tecnico è probabilmente aumentato seppure il tempo a disposizione sarà ipoteticamente rimasto grossomodo lo stesso del passato. Infatti, credo che uno dei problemi della CGI odierna, e di conseguenza della sua apparente inferiorità rispetto al passato, sia rappresentato proprio dalle strette tempistiche rispetto all'abnorme materiale da realizzare e come sappiamo una maggiore quantità tende a ridurre spesso la qualità finale ai danni, in tal caso, del "realismo" percepito. 

Secondo me il grande errore commesso è stato quello di dare alla CGI il ruolo unico nella realizzazione degli effetti speciali di un film, dimenticandosi degli effetti artigianali e/o pratici rappresentati dall'animatronic, dalla scultura, dal make-up,  dalla stop motion, dalle miniature e "giganture" etc. ricorrendo sempre e soltanto all'immagine digitale ricreata da zero e al green-screen. 

Ora, fermiamoci un attimo e riflettiamo assieme seguendo un mio personalissimo ragionamento. 

Se i film del passato ci apparivano ben più realistici dal punto di vista degli effetti speciali rispetto al presente (e ci sembrano talaltro invecchiati dignitosamente) è proprio perché sapevano sapientemente unire i punti di forza di una tecnica con le altre, sapevano appunto "ibridare" la CGI con l'animatronic ad esempio. A tal proposito vorrei nominare "Jurassic Park" (1993) diretto da Steven Spielberg. In questo iconico film di fantascienza sui dinosauri si è giocato molto con i fantastici animatronics del compianto Stan Winston e la CGI della Industrial Light & Magic sapendole ben bilanciare e sfruttando le potenzialità di entrambe queste arti senza abusarne. Non solo, per tornare al discorso del minutaggio fatto sopra, le scene con i dinosauri digitali in questo famoso blockbuster degli anni '90 contano solo di sei minuti(!!!) su centoventi di durata complessiva. Oltre a questo, la maggior parte di esse erano saggiamente realizzate in scene notturne il che nascondeva i normali limiti della CGI del tempo e i possibili difetti. Altro titolo celebre che vorrei chiamare in causa è la pluripremiata trilogia de "Il Signore degli Anelli" (2001-2003) di Peter Jackson. Anche qui, il regista neozelandese ha saputo sapientemente unire l'arte digitale con l'artigianato ricorrendo a riprese naturali in location reali e fisiche (la Nuova Zelanda e i vari set ricostruiti in studio a grandezza naturale da zero) donando un'esperienza vivida e realistica allo spettatore, di profonda tangibilità. Naturalmente ci sarebbero altri esempi da portare, ma eviterò di allungare il brodo più del dovuto anche per limiti culturali personali. 




Insomma, probabilmente anche a causa dei limiti che c'erano in passato si tendeva maggiormente a fare di necessità virtù mentre oggi con i computer assai più preformanti si sta forse confidando troppo in questa crescente potenza di calcolo dimenticandosi di altre efficaci tecniche che il passato ci ha lasciato in eredità.

Tutto qui allora? Per me no.


Il lettore attento ricorderà bene che avevo accennato a un certo elemento fondamentale mancante eppure sottovalutato o non visto da chi tende a criticare la CGI odierna. E' finalmente giunto il momento di aprire il tendone e rivelare questo oscuro ingrediente che, a mio parere, ha un certo peso in questa percepita finzione e innaturalità delle immagini generate al computer oggigiorno. Si tratta di un qualcosa che nel cinema in generale ha un'importanza massima, ovvero la luce. 


Si, la luce... questa sconosciuta!

Ho scoperto questo aspetto grazie a un'intervista a un direttore della fotografia davvero molto illuminante (scusate il possibile gioco di parole), nella quale l'esperto parlava proprio dell'importanza dell'utilizzo della luce per il realismo delle immagini digitali e la loro riuscita agli occhi dello spettatore. E leggendo l'opinione di un dipendente di un'azienda specializzata in CGI, totalmente per caso, ho in qualche modo avuto la conferma che la luce (insieme al colore) è la causa o comunque una delle cause di questa nostra percezione negativa nei confronti della CGI dell'ultimo decennio circa.

Questo potrebbe in parte spiegarci che quello che forse manca oggi sono figure in grado di saper simulare al meglio la fisica della luce o se non le figure manca il tempo, forse fin troppo stretto. Se ci pensate un attimo, quello che non convince della CGI odierna è proprio la volontà di volerci mostrare tutto nascondendo poco e illuminando fin troppo troppo le creazioni digitali in maniera poco naturale, lontana dal nostro percepire il mondo e il nostro occhio forse percepisce questa "fallace" illuminazione in contrasto con la vita di tutti i giorni. 

- Tirando le somme (personali)

Il problema dunque, almeno stando alla mia personale e non perfetta analisi, non è tanto la qualità in se della CGI quanto il suo esasperato utilizzo e la mancanza di un'ibridazione con altre tecniche artigianali che la rendono plastica e palese ai nostri occhi. Tuttavia, come abbiamo visto sopra, anche un utilizzo non corretto della luce e dei colori potrebbe portare a questo fastidioso effetto che molti lamentano e notano in alcuni film di successo. Fortunatamente buoni esempi di un corretto utilizzo di questa tecnica ci sono anche oggi e registi attenti a tecniche artigianali e non schiavi della sola CGI anche (penso a Christopher Nolan). Si spera che col tempo si ritorni a una sana ibridazione artistica (in questo senso sembra che alcuni film stiano tornando a imitare il passato) e a un corretto utilizzo della luce cosi da ridonarci pellicole con un forte realismo digitale.

Con questo personale post ho voluto solo puntare i riflettori sui possibili motivi che possono esserci dietro a quei film che ci appaiono non proprio superiori in termini di resa e realismo rispetto al passato. L'argomento è molto complesso e sicuramente ho finito per semplificare il tutto a causa di una mia non conoscenza della materia, quindi invito chi ne sa e se vuole ad approfondire (o a smentire, chiaramente) quanto qui scritto con un commento e a chi ne sa quanto me a fare una ricerca personale perché quello che qui ho voluto donare è solo un input e un punto di vista tra i tanti senza pretesa alcuna, nient'altro.