25 agosto 2017

The Mist: quando la morte è nell'uomo - COMMENTO

"The Mist" è un film del 2007 diretto da Frank Darabont, adattamento cinematografico di un racconto partorito dalla mente di Stephen King.

Il titolo è tutto un programma: una ignota nebbia carica di orrori e di morte si riversa sulla tranquilla cittadina in cui vive David insieme alla sua famiglia, costringendo un gruppo di persone - tra cui lo stesso David e il figlioletto - a rintanarsi in un supermercato.



In quanto opera kinghiana i riflettori sono puntati sulle vicende umane, ma non solo: forse, più che in altre trasposizioni dei libri del Re, si avverte con più forza la traccia lovecraftiana qui incarnata dalle ignote creature celate dalla nebbia e dalla misteriosa provenienza della stessa.

Come spettatori, ci ritroviamo poco dopo dinnanzi a un bivio. Infatti, abbiamo un gruppo di persone rinchiuse in un supermercato e una nebbia mortifera che, fuori, tutto ricopre. Cos'è più pericoloso? Le misteriose e mortifere creature celate dalla nebbia o l'essere umano quando viene braccato e costretto a condividere uno spazio minuscolo con i suoi simili in nome della pura sopravvivenza? Un bel quesito, carico di riflessioni profonde e con risvolti tutt'altro che piacevoli.

In effetti, la convivenza con il prossimo all'interno di un luogo assai presente nelle nostre vite quotidiane come un supermercato - il quale finisce per trasformarsi in una sorta di allegoria del mondo mentre i suoi "clienti", costretti in questo microcosmo, ascendono a rappresentanti del genere umano tutto - può portare le persone sia ad unire le forze per affrontare il comune nemico sia a dividersi mandando in frantumi le regole della civiltà e con esse quell'etica e quella morale che, probabilmente, trovano un effettivo riscontro solo finché viviamo quietamente senza alcun rischio concreto per la nostra vita e fintanto che esiste un'autorità a vigilare. Gli individui in una situazione tanto critica ed estrema possono diventare folli, diffidenti, carnefici, eroi e... fanatici. E questo suggestivo film ci svela e fa emergere nelle sue immagini e dai nodi della narrazione, sfruttando una claustrofobica ambientazione, il lato oscuro dell'essere umano quando viene braccato e tirato fuori a forza dalla civiltà e anche del fanatismo religioso. E nel corso della visione si finisce col concludere che l'uomo è causa di se stesso, causa delle sue stesse azioni. Il vero mostro è lui e la minaccia, paradossalmente, viene più dai suoi simili che da quelle oscure e ignote creature aliene che si aggirano nella micidiale nebbia che, guarda caso, sempre a causa dell'azione umana si sono ritrovate catapultate in un altro mondo, sulla nostra Terra. Ed è lo stesso regista a dichiarare che «la storia non si basa tanto sui mostri all'esterno, ma piuttosto sui "mostri" all'interno, cioè le persone con cui sei bloccato, i tuoi amici e i vicini di casa che crollano sotto pressioni esterne in situazioni estreme».



Darabont omaggia la saga de "La Torre Nera"

Come detto, le tematiche di King ci sono tutte e la sua poetica emerge vividamente ma, come già accennato, qui abbiamo a che fare con una storia che prende veramente a modello Lovecraft attraverso un'estetica orrorifica delle varie creature e con il mondo che viene invaso da mostri di altre oscure dimensioni che rammenta vividamente l'orrore cosmico dell'autore di Providence. Eppoi, la crudezza e la durezza dell'agghiacciante finale (reinventato da Darabont e lodato dallo stesso King), beffardo e privo di qualsivoglia giustizia o di un benevolo lieto fine, rispecchia anch'esso lo spirito o, meglio, la poetica lovecraftiana a mio parere.

Gli effetti speciali non sono proprio dei migliori per via di un budget sfortunatamente esiguo, ma comunque soddisfacenti se consideriamo proprio il low-budget. Il montaggio ha un taglio che, a naso, sa un po' di piccolo schermo, ma non mancano alcune inquadrature topiche e di un certo spessore che rivelano una regia non di bassa fattura. 
Ottima, sinistra e angosciante allo stesso tempo la musica firmata da Mark Isham la quale per altro vanta la partecipazione con una traccia dei Dead Can Dance, il gruppo di cui fa parte Lisa Gerrard con la sua profondissima voce (voce di alcune traccie della OST de "Il Gladiatore" firmata da Hans Zimmer, per altro spesso confusa a torto con Enya) e che qui da il suo contributo magnificamente straziando non poco il cuore dello spettatore.

La mia scena (e creatura ciclopica "alla Lovecraft")
preferita del film se non la scena simbolo/madre
della pellicola, comunque una delle più suggestive

In conclusione, abbiamo a che fare, secondo il mio modesto parere, con una delle migliori trasposizioni cinematografiche di un'opera del Re da un bel po' di tempo a questa parte, quindi non è affatto da sottovalutare e, anzi, potrebbe regalarvi qualche soddisfazione.
Il film sa essere evocativo, angosciante, crudo quanto basta e affatto mieloso: da una parte stiamo parlando di un'opera scritta dal re e diretta e riscritta per il cinema da Frank Darabont, il regista kinghiano per eccellenza che non manca di fornire il proprio tocco e apporto al tutto, mica pizza e fichi!

Consigliato se si ama il genere, Stephen King e Lovecraft. Nel caso, buona visione!

24 agosto 2017

Sei passeggiate nei boschi narrativi: in viaggio con Umberto Eco

Tra il 1992 e il 1993 Umberto Eco tenne all'Università di Havard, Cambridge, le famose “Charles Eliot Norton Poetry Lectures”, un ciclo di sei conferenze che fin dal 1926 si svolgono nel corso di un anno accademico e nelle quali viene esaminata la comunicazione poetica

Il primo scrittore italiano ad essere invitato alle “Norton Lectures”, nonché amico di Umberto Eco, fu il compianto Italo Calvino: sfortunatamente, egli non partecipò mai a quelle conferenze a causa della prematura scomparsa avvenuta nel 1985. Mentre Italo Calvino come tema principale da trattare scelse alcuni valori letterari da conservare per l'allora prossimo millennio, Umberto Eco dedicò il ciclo di conferenze a lui consegnato “alla situazione del lettore nei testi narrati”. Questo libro raccoglie dunque le sei conferenze che Umberto Eco tenne agli inizi degli anni '90, un dattiloscritto di quell'irresistibile evento.


Umberto Eco utilizza il “bosco” come metafora di un testo narrativo: un accostamento ben riuscito secondo me, anche brillante se vogliamo. Infatti, quando leggiamo un testo narrativo di qualsiasi genere, ognuno di noi vi "entra" proprio come farebbe con un bosco, ovvero con quella comprensibile curiosità dell'esplorazione. Una volta al suo interno, ci ritroviamo dinnanzi a un bivio: ammirarne le bellezze naturali che ha da offrirci, soffermandoci su ogni minimo dettaglio, o cercare il sentiero più rapido per uscirne il prima possibile a meno che, rapiti e stregati dalla sua bellezza, non desideriamo smarrirci tra i suoi alti fusti e le verdi chiome per non uscirne mai più.

Umberto Eco ha tracciato un “sentiero” puntellato da numerosi esempi di grandi opere letterarie del passato per far meglio comprendere a noi lettori le sue argomentazioni e il Ruolo del lettore; un ruolo tutt'altro che passivo e, anzi, di fondamentale importanza ai fini della comunicazione letteraria. Grazie a questi esempi, indirettamente e forse anche volutamente, egli ci offre degli utili input a cui siamo liberi di rispondere o meno leggendo quei testi chiamati in causa. 

In questo interessante saggio di letteratura non solo percepiamo una parte della vasta e invidiabile conoscenza che era propria di Umberto Eco - uomo molto erudito che possedeva una cultura praticamente enciclopedica -, ma comprendiamo la grandezza dei testi narrativi i quali si presentano come mondi immensi e suggestivi che possiamo esplorare fin nelle loro fondamenta se lo vogliamo. A mio parere, Eco ci mostra le possibilità (infinite?) e le situazioni molteplici che il lettore si trova ad affrontare durante la lettura e il ruolo a cui è chiamato dall'Autore per completare il mondo da lui creato. Inoltre, per parafrasare la Bompiani, “Eco ci mostra quanto il romanzo – non a caso definito “il fratello carnale della Storia” – si intrecci con la vita e la vita con il romanzo”.

E' un testo consigliato a chi desidera comprendere i meccanismi narrativi e il ruolo del lettore, ma sopratutto a chi vuol capire la grande importanza che i romanzi e i racconti rivestono nella nostra esistenza, il rapporto sorprendente tra finzione e realtà. Naturalmente, la lettura rivelerà anche come la finzione narrativa esercita tutto questo fascino su di noi e come la memoria personale si incontra con quella collettiva, completandosi a vicenda.

Personalmente, sono attratto da questo genere di libri, dai saggi letterari e dal mondo della narratologia, quindi ho deciso di leggere questo libro (il primo) per saziare tale bisogno “intellettuale”. Benché abbia ritrovato delle cose che avevo già letto su un libro di testo scolastico tempo addietro, ho trovato anche elementi nuovi, altri invece presentati in altro modo e una visione quasi filosofica dei testi narrativi. Se attratti dall'argomento e mossi da fame di conoscenza, sono certo che lo si troverà un libro stimolante, gustoso, utile e... illuminante.

5 agosto 2017

L'Iliade di Omero: consigli per la lettura

Da tempo stavo rimuginando se condividere o meno alcuni consigli a chi ha deciso tante volte di leggere per la prima volta e per conto proprio "l'Iliade". E poiché questo blog punta a voler donare alcuni "input" di varia natura ai (pochissimi) lettori, ritengo sia il posto giusto per fare ciò.

Probabilmente dover leggere e ascoltare a scuola le gesta degli eroi "dell'Iliade" attraverso la traduzione (a dire il vero non una semplice traduzione) del Monti ha portato molti all'esasperazione, alla noia e a non conservarne un ricordo molto positivo. Perché si, bella quanto si vuole e sicuramente di grande importanza, ma trovo "l'Iliade" di Vincenzo Monti una lettura poco interessante per un ragazzino delle medie. Dunque non mi sorprende se molti, giunti all'età adulta, continuano ad evitare questo poema classico e capisco benissimo come non sia molto facile giungere alla nobile decisione di leggerlo a causa di questa traduzione non alla portata di tutti (non alla mia di sicuro!) che può aver lasciato un brutto ricordo ai più.

Con questo post voglio condividere la mia trascurabile esperienza di lettura del Poema Epico per eccellenza per aiutare chi, pur avendo timidamente iniziato ad accarezzare l'idea di leggerlo, ne teme ancora il contatto. Spero di riuscire a donare qualche contributo - anche piccolo - al fine di facilitarne la lettura a tutti gli interessati, segnalando traduzioni italiane del testo forse poco conosciute e/o involontariamente trascurate. Infatti, ho una buona notizia: non esiste solo l'impegnatissima traduzione di Vincenzo Monti e "l'Iliade" può essere letta senza rischiare di lanciare il libro dalla finestra.


"L'Iliade" ha una carica di suggestione pazzesca e smuove l'immaginazione richiamando alla mente immagini che nulla hanno da invidiare ai dipinti campali dei più grandi pittori della Storia, quindi inevitabilmente tende a richiamare l'attenzione e la curiosità di un lettore. Tuttavia, quando mi sono ritrovato a leggerla, mi sono accorto ben presto che alcune traduzioni italiche del poema presenti nelle librerie erano un po' troppo "astruse" ed ostiche per il mio cervello limitato. Io, francamente, non volevo assolutamente rovinarmi quest'esperienza a causa di una traduzione non nelle mie corde e, tra un colpo di fortuna e un po' di ricerca, alla fine sono riuscito a leggerlo anche più di una volta e ad apprezzare questo celebre, immortale classico dell'Antichità come mai avrei sperato grazie a delle traduzioni affatto "contorte".
Ed eccole qui di seguito.

1 - L'Iliade tradotta da Giovanni Cerri

Per chi vuole rimanere fedele al poema in versi, la traduzione di Giovanni Cerri (poeta italiano di alto livello del 900) secondo me può essere l'ideale. Questa vanta il testo greco a fronte, tante note di approfondimento a piè di pagina a cura di Antonietta Gostoli e un interessante saggio in apertura di Wolfgang Schadewaldt (noto come il traduttore di Omero), oltre a un'introduzione dello stesso Cerri, che permettono di approfondire e chiarire alcuni aspetti sia della cultura greca sia dello stesso poema.

Troverete una traduzione letterale in verso libero in un italiano ben comprensibile "tra forme del linguaggio quotidiano e forme tradizionali di sapore arcaico" che riesce a donare un'esperienza affatto ostica e una lettura facilitata. Per un lettore neofita di Omero alla ricerca di una lettura dilettevole credo sia un'ottima scelta - se vuole mantenersi fedele a una traduzione in versi chiaro.

2 - L'Iliade tradotta da Maria Grazia Ciani

Con Maria Grazia Ciani (esperta di letteratura, civiltà, storia e lingua greca) entriamo nel suggestivo e magico mondo della prosa.

Probabilmente i più puristi potrebbero storcere il naso, ma è un testo perfetto per un lettore (neofita e non solo) che vorrebbe leggere il poema secondo una struttura riconoscibile. Ma non si deve sottovalutare l'operazione della Ciani: il testo non viene appiattito o semplificato esasperatamente e conserva tutto il suo spessore, semplicemente si fa leggere tranquillamente anche da noi comuni mortali sfruttando per l'appunto la prosa e un registro non oscuro.

Infine, anche qui abbiamo un "commento" a cura di Elisa Avezzù (non sono state usate note puntuali ritenute dispersive) diviso in ventiquattro tematiche ognuna per i ventiquattro libri che compongono il poema. Ciliegina sulla torta è l'interessante e non striminzita introduzione di Maria Grazia Ciani che dona non poche perle di conoscenza. Consigliato anche più della traduzione del Cerri (naturalmente senza nulla togliere a quest'ultimo, ci mancherebbe).

3 - L'Iliade secondo Baricco

Questa versione dell'Iliade intitolata "Omero, Iliade" è stata un'autentica rivelazione per me ed è il gioiellino finale di questa breve lista di consigli.

Quello che distingue questa "versione" dalle altre è che non si tratta in realtà di una traduzione, ma di una reinterpretazione e di un "rimontaggio" dell'Iliade originale che da poema si trasforma in un testo narrativo in prosa tanto da sembrare un libro dei giorni nostri. Grazie alla struttura a monologhi seguiremo le vicende della guerra di Troia dalle bocche dei protagonisti, dal punto di vista di coloro che quella guerra l'hanno vissuta sulla loro pelle.

Attraverso un linguaggio comprensibilissimo e conservando comunque uno stile aulico ed epico, Baricco ci ha donato un "Iliade" nuova, fresca, fluida e molto ridotta nella sua totalità, ma carica di emozioni nuove e stracolma di nuova forza e di sapori inediti. Credo che sia il testo perfetto per chiunque voglia approcciare a questo classico e lo straconsiglio anche a chi ha già letto "l'Iliade" in passato perché, grazie a Baricco, potrà scoprire nuove sfumature e al contempo riscoprire il poema omerico sotto una nuova e folgorante luce.

Imperdibile!


Siamo arrivati alla fine. Spero di essere riuscito a dileguare qualche dubbio offrendo concretamente qualche strada da seguire con una certa sicurezza (anche se consiglio vivamente di compiere una ricerca personale e sfruttare questo modesto post solo come una base e non un punto di arrivo, perché il sottoscritto non è un esperto e ho puntato tutto su un'esperienza personale e gusti soggettivi). Tuttavia, voglio donarvi un ultimo consiglio generale prima di lasciarvi alla vostra ricerca e scelta.

Secondo me leggere deve essere un piacere, ed ecco perché non trovo giusta l'affermazione secondo la quale non esisterebbe altra "Iliade" al di fuori di quella di Vincenzo Monti. A mio parere, ognuno deve approcciare a una traduzione iliadica che più si avvicina al proprio gusto, lasciando da parte l'integralismo di alcuni. Io ho trovato le tre traduzioni sopra consigliate ottime e perfette per chi non possiede, come il sottoscritto, grandi competenze linguistiche, ma ognuno può trovare quella che più si adatta alle proprie esigenze e capacità anche perché nel Bel Paese ce ne sono a bizzeffe da scegliere e scoprire.
Insomma: non fatevi condizionare da nessuno, siate liberi e leggete la traduzione che sentite di più nelle vostre corde perché, alla fine, l'importante è leggerla questa "Iliade"...

Buona lettura!

1 giugno 2017

Film sul Silmarillion: fattibile o no?

Quest'oggi vorrei affrontare una faccenda che trovo intrigante e insieme suggestiva: un possibile adattamento cinematografico dell'opera magna di J.R.R. Tolkien, il possente e inimitabile "Il Silmarillion".



Molti appassionati della Terra di Mezzo si chiedono se una possibile trasposizione cinematografica di questo tomo sia effettivamente possibile dopo il passaggio sul grande schermo de "Il Signore degli Anelli" prima e "Lo Hobbit" poi, ed è proprio quello che mi chiedo anch'io. Da qui è nata in me questa "esigenza" di esprimere una mia opinione in merito dopo alcune riflessioni.

Il mio obiettivo non è quello di criticare le posizioni altrui né quello di scontrarmi con esse, voglio solo esporre una mia personale opinione e i possibili dubbi su una simile "operazione" e su come la si potrebbe portare in porto secondo me. Per fare ciò cercherò come prima cosa di dare un'infarinatura in poche righe e senza alcuno spoiler sul libro per coinvolgere anche chi, forse spaventato dalle parole altrui o per mancanza di tempo, non ha ancora letto questo capolavoro (leggetelo!).

Detto questo, per permettere a chiunque di inquadrarmi meglio... chi sono? Nessuno e non sono un tolkeniano o un esperto con chissà quali pretese, ma l'idea di vedere una serie di film su "Il Silmarillion" mi affascina non poco e voglio dimostrarlo attraverso questo post. Per questo motivo ho riordinato le mie idee e ho deciso di intrufolarmi in questa fantastica discussione per, si spera, arricchirla e donare qualche input nuovo o comunque un altro punto di vista non richiesto per contribuire a questa discussione. Chiarito tutto quello che c'era da chiarire, non mi resta che augurarvi buona lettura!
 

- Cos'è "Il Silmarillion"?


"Il Silmarillion" è un testo incompiuto le cui origini risalgono al lontano 1917. Rappresenta metaforicamente parlando "un tronco da cui si diramano tutte le altre opere" (cit.) di Tolkien e, proprio per tale ragione, ha un'importanza notevole per il cosiddetto legendarium tolkeniano.

Non è un semplice libro, ma un tentativo moderno di donare ai lettori un racconto epico e mitico che parte da quella che può essere definita come la genesi della Terra di Mezzo per poi percorrere innumerevoli secoli dando forma a quel passato spesso accennato e ricordato da certi personaggi ne lo Hobbit e ne Il Signore degli Anelli. Un libro immenso e che può indirettamente ricordare i testi mitici dell'antichità come la "Teogonia" di Esiodo, "l'Edda Poetica", la "Bibbia" et simili. Ed è questa, almeno secondo me, la grande bellezza di questo libro, ciò che lo rende unico e speciale anche perché Tolkien desiderava donare un racconto mitologico al proprio paese che ne era sprovvisto e ci è riuscito assai bene.


"Il Silmarillion" è per gran parte incentrato sulla Prima Era della Terra di Mezzo e la sua narrazione, se vogliamo proprio stringere, ruota intorno a tre oggetti magici o mistici chiamati "Silmaril" e sulla loro perdita e tentata riconquista. E' suddiviso in cinque racconti: Ainulindale e Valaquenta, che rappresentano il momento cosmogonico del Silmarillion e narrano la genesi di Arda; Quenta Silmarillion, il racconto più vasto e longevo che narra la guerra tra Elfi e Uomini contro il nemico Melkor-Morgoth di cui il famoso e temuto Sauron era solo un servitore; Akallabeth, incentrato sulla caduta di Numenor e infine Degli Anelli del Potere e della Terza Era.

Sperando di aver fornito un'infarinatura accettabile per permettere a chiunque di seguire la lettura di quanto segue, passiamo ai prossimi punti.

- Una missione Impossibile? 

Nel caso si decidesse davvero di realizzare un adattamento per il cinema, per riuscire grossomodo a portare con un po' di fedeltà questo libro sul grande schermo, a mio parere non si dovrebbero realizzare meno di tre film. Scrivo questo perché, personalmente, trovo essenziale la quantità in questo contesto se non un aspetto fondamentale, per un semplice motivo: un solo film, a fronte dell'immenso materiale contenuto nel libro, lo troverei inaccettabile e fuoriluogo se non addirittura un'offesa SE l'intento fosse quello di ripercorrere tutto "Il Silmarillion", sia chiaro. Tuttavia, a prescindere da tutto ciò, è fattibile o no realizzare dei film su quest'opera mastodontica? 

Dal punto di vista tecnico realizzare dei film su quest'opera è per me fattibile. In genere, la sfida più grande per dei film di questa portata è relativa al budget a disposizione e ai limiti tecnologici. Poiché le major quando fiutano un affare non si fanno molti problemi a investire grosse somme di denaro (si veda "Lo Hobbit": ogni film ha avuto a disposizione un budget di 200 milioni di dollari circa) e visto lo sviluppo incredibile della CGI e dei computer negli ultimi anni non ho dubbi sul fatto che si possano realizzare dei film cosi potenti dal punto di vista visivo e creativo. 
In pratica, secondo me si può fare dal punto di vista degli effetti speciali e del budget tuttavia sono altre le cose che generano in me alcuni dubbi, ovvero l'immensità e la vastità ciclopica del contenuto del Silmarillion che si discosta dal discorso "tecnico-tecnologico" appena fatto. Ma è davvero cosi possente si chiederanno giustamente coloro che potrebbero non averlo letto?

Dal punto di vista materiale, non direi. Difatti, almeno nell'edizione "grandi tascabili" della Bompiani che posseggo, il libro non supera le 700 pagine. Se da queste poi togliamo la prefazione, una lettera di Tolkien, gli indici dei nomi (che non temono il confronto con l'indice dei nomi presente ne l'Iliade omerica), le genealogie, qualche mappa e le note del traduttore ci ritroviamo con 200 pagine in meno e il racconto effettivo che ricopre soltanto 500 pagine. 

Letto quanto sopra, qualcuno potrebbe sbottare cosi: "Ma come!? Il Signore degli Anelli con le sue 1200 pagine è stato trasposto dignitosamente in una trilogia di tutto rispetto e "Il Silmarillion", che dalla sua vanta solo 500 pagine, non può essere adattato nello stesso degno modo e lo hai persino dipinto come qualcosa di titanico? Ma va là!".

Un'osservazione di tutto rispetto, ma cerco di riassumere con questo schemino mal fatto (prestate attenzione alle linee orizzontali di colore rosso):

Ecco qual'è, a mio parere, il VERO problema e il LIMITE di un'operazione del genere, ovvero la dimensione "immateriale" di quest'opera.

Se a livello puramente materiale (il numero fisico di pagine) il libro si presenta di "modeste" dimensioni, non si può dire lo stesso del contenuto, ossia dell'aspetto immateriale (storia e trama, per non parlare poi del cast sconfinato di personaggi che fa letteralmente impallidire quello visto nel celebre "Il Signore degli Anelli") e spero che lo spartano schemino di cui sopra abbia in qualche modo reso l'idea. Dopotutto, a ben pensarci, un libro può essere visto come una bambola matriosca o, se preferiamo, come un frutto dove la buccia esterna (copertina e numero di pagine) racchiude e al contempo ricopre la sua vera essenza e la sua vera dimensione succosa (la storia narrata in quelle pagine attraverso dei segni stampati).

Come scritto sopra, Tolkien con "Il Silmarillion" ha narrato secoli e secoli della Terra di Mezzo attraversando diverse Ere, dando forma e concretezza all'immenso passato del suo mondo immaginifico. Ed è questa la grande differenza con "Il Signore degli Anelli" il quale, al contrario, si concentra su un evento in particolare, la Guerra dell'Anello, e su un periodo di tempo limitato e ben circoscritto (una piccolissima parte della cosiddetta Terza Era). Per altro, la parola scritta permette di racchiudere in poche righe una quantità di tempo immensa se lo si vuole (ad esempio, basta scrivere "due secoli dopo" e sia per il lettore che la stessa fabula sono passati effettivamente due secoli) e questo rende la sfida ancora più difficile se possibile visto che il linguaggio audiovisivo racconta per immagini e non può sintetizzare allo stesso modo della parola scritta. Per esempio, se Tolkien ha scritto "e la battaglia infuriò per cinque giorni" senza cosi scendere nei dettagli, risparmiando una miriade di inchiostro e di pagine, al contrario in un film in nome della spettacolarizzazione e dello storytelling devi invece mostrare quella battaglia e il suo svolgimento il che come minimo ti riempirà almeno venti minuti di pellicola e questo lo abbiamo ben visto nel terzo capitolo cinematografico de "Lo Hobbit", la nota Battaglia dei Cinque Eserciti. A tutto questo, per far ancor più comprendere la mia perplessità, aggiungiamo che il terzo racconto del libro, il citato "Quenta Silmarillion", contiene ben 24 capitoli che possono tranquillamente fungere da materiale di base per altrettanti film e sfornare in soldoni più di venti sceneggiature diverse se lo si desidera. Un esempio emblematico in tal senso lo possiamo trovare nel fantastico racconto de "I figli di Hurin" che, pur occupando un solo capitolo, può da sola bastare per un intero lungometraggio di oltre due ore! (in realtà quest'ultimo è stato ripubblicato ed esteso dal figlio di Tolkien rendendolo a tutti gli effetti un romanzo, quindi molto più lungo dell'originale appena usato come esempio).

Quindi si può condensare tutta questa popò di roba in soli tre film come fatto in passato? Non credo proprio. Ciononostante, ho pensato a qualche soluzione che annullerà questo apparente pessimismo profuso negli ultimi paragrafi anche perché i dubbi sopra esposti, per meglio chiarire, erano rivolti a una trasposizione totale del libro.

- Le due possibili vie

A mio discutibile parere, non si può operare una trasposizion dalla A alla Z del Silmarillion (a meno che non si girino dieci e passa film, cosa di cui dubito fortemente) e credo di avere ampiamente espresso i motivi personali per i quali sono arrivato a una simile e soggettiva conclusione. In poche parole, non mi trovo molto d'accordo con chi ipotizza ciò quando si parla di una possibile trasposizione di questa maestosa opera perché ritengo ci siano altre strade che, personalmente, trovo anche più efficaci. Ho trovato due possibili alternative che in qualche modo possono rendere fattibile il passaggio sul grande schermo del Silmarillion, anche se non nella sua totalità, scavalcando i limiti della sua immensità e preservandone la dignità artistica.



La prima a cui ho pensato, meno appagante, consisterebbe nel focalizzare l'attenzione solo su alcuni episodi chiave o celebri del Silmarillion (che come detto possono tranquillamente fungere da base per interi lungometraggi), un po' come nel tempo si è fatto con la "Bibbia" ad esempio. Seguendo questo sentiero si potrebbe iniziare da quelle storie che si collegano indirettamente ad alcuni personaggi ed eventi nominati nella famosa trilogia cinematografica dell'Anello (questo tra l'altro andrebbe a creare, a mio avviso, un gustoso e apprezzabile collegamento e un senso di continuità, di "unicum" partendo da ciò che lo spettatore medio già conosce anche solo per sentito dire grazie a Peter Jackson e i suoi film) per poi arrivare a storie più remote e con meno legami con il capolavoro tolkeniano dedicato alla guerra dell'anello. In tal senso, la già accennata storia de "I Figli di Hurin" sarebbe un'ottima storia da portare al cinema, ma naturalmente ce ne sono anche altre di pregevole fattura.

Altrimenti l'altra possibile strada, forse più intrigante e più vicina a un'idea di trasposizione dalla A alla Z dell'opera tolkeniana desiderata da alcuni fan, consisterebbe nel costruire la sceneggiatura lavorando il filo narrativo di base del libro, ovvero la perdita e la tentata riconquista dei tre Silmaril i quali costituiscono un po' l'elemento base e il cuore stesso del Silmarillion - peraltro possono richiamare, indirettamente, l'Anello del Potere donando al contempo una certa familiarità agli spettatori. Il costruire dei film, mettiamo tre, su questi tre importanti oggetti consentirebbe ai vari sceneggiatori di concentrare le proprie risorse solo su quei capitoli ove i tre Silmaril sono protagonisti della vicenda escludendo il resto (e giustamente dovranno lavorare di fino e saper ben utilizzare gli strumenti del mestiere e la propria abilità e sensibilità), il che permetterebbe loro di portare sul grande schermo anche solo una trilogia con alla base però un nucleo narrativo solido. Tocco finale, si potrebbe aprire il primo film di questa ipotetica nuova trilogia con un classico prologo in pieno stile "La Compagnia dell'Anello" di circa dieci minuti in cui inserire, riassuntivamente, il contenuto cosmogonico dell'Ainulindale e del Valaquenta, i primi due racconti del Silmarillion (a mio parere, grazie all'odierna CGI si può fare senza troppe difficoltà e, vista la loro non eccessiva lunghezza all'interno del libro, si possono tranquillamente "stringere"), insieme naturalmente all'apparizione dei tre oggetti.

Secondo il mio modesto parere e il mio gusto personale quest'ultima sarebbe un'ottima strada da percorrere e potrebbe far percepire la potenza e la bellezza di quest'opera ai neofiti, spingendoli a recuperarla e a leggerla come accaduto con "Il Signore degli Anelli" anni fa (nessun adattamento può avere la pretesa di sostituirsi all'opera originale e, inoltre, un buon adattamento non deve trasporre parola per parola l'opera di partenza riducendosi a una "brutta-copia" priva di personalità).

- Un ingrediente immancabile (finale)

Malgrado le opinioni personali, naturalmente dissimili tra loro e non sempre accordanti, credo che su due punti tutti i lettori e appassionati di Tolkien saranno d'accordo. Il primo è che, trasporre questo libro (se mai lo si farà, ovvio), si rivelerà senz'altro un'autentica sfida, una vera e propria epopea; il secondo è che ci vuole gente sinceramente appassionata e innamorata di questo testo e della Terra di Mezzo. Senza la passione e il rispetto e la conoscenza profonda del mondo generato da Tolkien tutte le parole che ho scritto fino a questo momento non hanno alcun senso. Infatti, per quanto possa apparire presuntuoso quanto sto per scrivere, troverei inaccettabile vedere prodotti dei film sul Silmarillion senza un valido e qualificato staff alle spalle, senza ottimi sceneggiatori consapevoli di ciò che andranno ad adattare e senza un regista eccellente. Rifiuto categoricamente un trattamento come quello in parte riservato al recente "Lo Hobbit".


Voglio assolutamente vedere dei film su questo libro, ma se si deve scadere nella tamarraggine, nella puerilità e nel grottesco allora preferisco non vedere alcun film sul Silmarillion. Questa è un'opera che ha bisogno e merita di un approccio simile a quello visto col Signore degli Anelli, non voglio vedere gli stessi scivoloni de "Lo Hobbit". Pretendo un tono solenne, aulico ed epico e nessuna buffonata e azione in stile cinecomics. Questi sono gli ingredienti immancabili su cui non accetterò alcun compromesso e da cui si deve partire per evitare cocenti delusioni e legittime proteste.

Arrivati fino a questo punto spero la lettura sia stata di vostro gradimento. Probabilmente non sarò riuscito ad evitare errori vari, ma garantisco che ho profuso il massimo impegno nello scrivere questo post. Naturalmente tutto ciò che avete letto è, come già detto più volte, solo un'opinione personale non c'è niente di oggettivo e se ho dato un'impressione opposta o sono involontariamente risultato indelicato e offensivo me ne scuso, non era questa l'intenzione.
Sono sicuro ci saranno altre vie da seguire per trasporre "Il Silmarillion" e che quelle che ho proposto non sono esenti da errori e difetti (ad esempio la strada seriale sarebbe altrettanto ottima). Quindi vi invito a commentare e a donare le vostre "vie", le vostre opinioni in merito con tutta tranquillità e a correggermi nel caso.

Vi ringrazio per la lettura, l'attenzione e il tempo dedicatomi.