25 agosto 2017

The Mist: quando la morte è nell'uomo - COMMENTO

"The Mist" è un film del 2007 diretto da Frank Darabont, adattamento cinematografico di un racconto partorito dalla mente di Stephen King.

Il titolo è tutto un programma: una ignota nebbia carica di orrori e di morte si riversa sulla tranquilla cittadina in cui vive David insieme alla sua famiglia, costringendo un gruppo di persone - tra cui lo stesso David e il figlioletto - a rintanarsi in un supermercato.



In quanto opera kinghiana i riflettori sono puntati sulle vicende umane, ma non solo: forse, più che in altre trasposizioni dei libri del Re, si avverte con più forza la traccia lovecraftiana qui incarnata dalle ignote creature celate dalla nebbia e dalla misteriosa provenienza della stessa.

Come spettatori, ci ritroviamo poco dopo dinnanzi a un bivio. Infatti, abbiamo un gruppo di persone rinchiuse in un supermercato e una nebbia mortifera che, fuori, tutto ricopre. Cos'è più pericoloso? Le misteriose e mortifere creature celate dalla nebbia o l'essere umano quando viene braccato e costretto a condividere uno spazio minuscolo con i suoi simili in nome della pura sopravvivenza? Un bel quesito, carico di riflessioni profonde e con risvolti tutt'altro che piacevoli.

In effetti, la convivenza con il prossimo all'interno di un luogo assai presente nelle nostre vite quotidiane come un supermercato - il quale finisce per trasformarsi in una sorta di allegoria del mondo mentre i suoi "clienti", costretti in questo microcosmo, ascendono a rappresentanti del genere umano tutto - può portare le persone sia ad unire le forze per affrontare il comune nemico sia a dividersi mandando in frantumi le regole della civiltà e con esse quell'etica e quella morale che, probabilmente, trovano un effettivo riscontro solo finché viviamo quietamente senza alcun rischio concreto per la nostra vita e fintanto che esiste un'autorità a vigilare. Gli individui in una situazione tanto critica ed estrema possono diventare folli, diffidenti, carnefici, eroi e... fanatici. E questo suggestivo film ci svela e fa emergere nelle sue immagini e dai nodi della narrazione, sfruttando una claustrofobica ambientazione, il lato oscuro dell'essere umano quando viene braccato e tirato fuori a forza dalla civiltà e anche del fanatismo religioso. E nel corso della visione si finisce col concludere che l'uomo è causa di se stesso, causa delle sue stesse azioni. Il vero mostro è lui e la minaccia, paradossalmente, viene più dai suoi simili che da quelle oscure e ignote creature aliene che si aggirano nella micidiale nebbia che, guarda caso, sempre a causa dell'azione umana si sono ritrovate catapultate in un altro mondo, sulla nostra Terra. Ed è lo stesso regista a dichiarare che «la storia non si basa tanto sui mostri all'esterno, ma piuttosto sui "mostri" all'interno, cioè le persone con cui sei bloccato, i tuoi amici e i vicini di casa che crollano sotto pressioni esterne in situazioni estreme».



Darabont omaggia la saga de "La Torre Nera"

Come detto, le tematiche di King ci sono tutte e la sua poetica emerge vividamente ma, come già accennato, qui abbiamo a che fare con una storia che prende veramente a modello Lovecraft attraverso un'estetica orrorifica delle varie creature e con il mondo che viene invaso da mostri di altre oscure dimensioni che rammenta vividamente l'orrore cosmico dell'autore di Providence. Eppoi, la crudezza e la durezza dell'agghiacciante finale (reinventato da Darabont e lodato dallo stesso King), beffardo e privo di qualsivoglia giustizia o di un benevolo lieto fine, rispecchia anch'esso lo spirito o, meglio, la poetica lovecraftiana a mio parere.

Gli effetti speciali non sono proprio dei migliori per via di un budget sfortunatamente esiguo, ma comunque soddisfacenti se consideriamo proprio il low-budget. Il montaggio ha un taglio che, a naso, sa un po' di piccolo schermo, ma non mancano alcune inquadrature topiche e di un certo spessore che rivelano una regia non di bassa fattura. 
Ottima, sinistra e angosciante allo stesso tempo la musica firmata da Mark Isham la quale per altro vanta la partecipazione con una traccia dei Dead Can Dance, il gruppo di cui fa parte Lisa Gerrard con la sua profondissima voce (voce di alcune traccie della OST de "Il Gladiatore" firmata da Hans Zimmer, per altro spesso confusa a torto con Enya) e che qui da il suo contributo magnificamente straziando non poco il cuore dello spettatore.

La mia scena (e creatura ciclopica "alla Lovecraft")
preferita del film se non la scena simbolo/madre
della pellicola, comunque una delle più suggestive

In conclusione, abbiamo a che fare, secondo il mio modesto parere, con una delle migliori trasposizioni cinematografiche di un'opera del Re da un bel po' di tempo a questa parte, quindi non è affatto da sottovalutare e, anzi, potrebbe regalarvi qualche soddisfazione.
Il film sa essere evocativo, angosciante, crudo quanto basta e affatto mieloso: da una parte stiamo parlando di un'opera scritta dal re e diretta e riscritta per il cinema da Frank Darabont, il regista kinghiano per eccellenza che non manca di fornire il proprio tocco e apporto al tutto, mica pizza e fichi!

Consigliato se si ama il genere, Stephen King e Lovecraft. Nel caso, buona visione!

Nessun commento:

Posta un commento